Omelie  di Pasqua  

 

a cura di don Carlo Salvador

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20.03.05   PALME  A 2005 scarica il file in formato Word
24.03.05   GIOVEDI' SANTO 2005 scarica il file in formato Word
25.03.05  VENERDI' SANTO 2005 scarica il file in formato Word
27.03.05   PASQUA          2005 scarica il file in formato Word
03.04.05   PASQUA 2   A 2005 scarica il file in formato Word
10.04.05   PASQUA 3   A 2005 scarica il file in formato Word
17.04.05   PASQUA 4   A 2005 scarica il file in formato Word
24.04.05   PASQUA 5   A 2005 scarica il file in formato Word
01.05.05   PASQUA 6   A 2005 scarica il file in formato Word
08.05.05  ASCENSIONE   A 2005 scarica il file in formato Word
14.05.05  VEGLIA DI PENTECOSTE  2005 scarica il file in formato Word
15.05.05  DI PENTECOSTE  2005 scarica il file in formato Word

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PALME  A   2005  (Mt 27,11-54)

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Dio oggi ci parla nella passione di Gesù. Ho scelto la lettura breve per lasciare spazio per riflettere insieme. Mi accorgo infatti che tanti cristiani non conoscono le cose fondamentali alla fede e della celebrazione e hanno difficoltà a meditare da soli.

Non basta che conosciamo la parola di Dio; per la preghiera e la crescita nella santità è importante che la parola scenda nel cuore e si inserisca nel tempo attuale e nella vita.

Il nostro tempo non è esente dai peccati che hanno provocato la passione del Signore.

Anzi nell’epoca della globalizzazione i peccati sono più visibili e opprimenti.

Mi fermo alle posizioni che le persone prendono di fronte alla passione di Gesù.

La passione non è stata scritta per sottolineare il giudizio che gli uomini danno di Gesù; conta poco perché Dio lo ha già glorificato; è scritta perché giudichi noi, per convertirci.

o       Pilato 18sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

Pilato conosceva l’ambiente religioso; religione e politica si controllavano a vicenda.

Il problema delle autorità religiose, al di là dei pretesti, era che la gente andava con Gesù ed essi rimanevano spiazzati, senza potere, consenso, sicurezza e futuro.

Gesù li mandava a spasso. Da qui nasce in loro l’invidia. Al posto dello zelo per il Regno di Dio e della ricerca del suo disegno di amore subentra la difesa delle tradizioni, del tessuto umano e della carriera religiosa. I nemici dei profeti sono coloro che non conoscono la volontà di Dio; le persone da cui guardarsi sono quella zelanti e ignoranti.

Quanta invidia c’è nel ns comportamento, nei giudizi e nelle esclusioni che operiamo?

o       Pilato  24 si lavò le mani davanti alla folla. Si mise con la folla e stava col potere.

Stare con la maggioranza e il potere significa evitare problemi ma anche disperdere il proprio volto. Se Gesù fosse stato con la maggioranza cosa gli sarebbe accaduto?

Sicuramente non conosceremmo il suo bellissimo volto tratteggiato nel vangelo.

I cristiani oggi stanno con quello che lo Spirito ha detto alla Chiesa o assecondano le politiche ecclesiastiche? Dio li ha chiamati ma essi preferiscono le sicurezze presenti invece il futuro che Dio indica; si disimpegnano di fronte alle urgenze del regno di Dio.

Gesù è stato crocifisso dagli uomini del potere religioso che hanno strappato il consenso del popolo. Basta il consenso del popolo per uccidere in nome della democrazia?

o       Le persone di fede ebraica: 33-39 passanti, sacerdoti, scribi, anziani, ladroni.

Pensano che se Gesù  è in croce significa che non è figlio di Dio; perché non può salvare se stesso e perché Dio non lo libera. E’ la religione che giudica secondo criteri umani e non prevede il grande evento della pasqua di Cristo. Mentre l’innocente muore si giustificano accusandolo e prendendo a testimone Dio. La parola mette così in risalto la trama del peccato: l’orgoglio e la presunzione di sé e della missione ricevuta.

o       54 Gli ultimi. Di fronte alla morte di Gesù le guardie armate, violente con l’uomo per professione, stranieri che non conoscono la parola rivelata, professano che Gesù è figlio di Dio. Quale vergogna per il popolo ebreo che ha chiesto a Erode la sua morte.

o       E noi? Come ci poniamo di fronte a Gesù innocente perseguitato dal mondo?

      Siamo seguaci di un crocifisso o degli uomini del successo mondano e religioso?

A Pasqua siamo invitati a riconciliarci con Dio. Lunedì sera e martedì pomeriggio sono dedicati alla riconciliazione. Proviamo a fare l’esame di coscienza partendo dalla passione del Signore, essa ci interroga e ci giudica più in profondo dei comandamenti. La riconciliazione riguarda la fede prima che la morale. E preghiamo per tutti gli uomini perché ritornino a Dio, alla giustizia e all’amore. Abbiamo l’adorazione oggi, lunedì e mercoledì e il triduo pasquale, una liturgia che educa alla fede e ricca di grazia.

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GIOVEDI' SANTO 2005

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Siamo venuti a celebrare la cena del Signore. Questa liturgia richiede tre disposizioni.

1  Preparare l’animo a partecipare a un evento straordinario.

Dio dice a Mosè ed ad Aronne: Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Avviene un evento da porre in principio; riscriviamo la storia partendo da esso. Come Gesù è nuovo Adamo, nuovo  e vero principio dell’umanità.

Pietro dice a Gesù: tu lavi i piedi a me?; tu a me? Una cosa  impensabile, inaccettabile. Gesù conferma: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, lo capirai dopo. Con Dio è sempre così: bisogna credere e lasciarsi amare e poi nell’esperienza con lui lo si conosce.

Significa dopo la pasqua, lungo la vita, nella vita eterna. Dio sorprende. Dice la Scrittura: Ecco, io faccio una cosa nuova. Curiamo un’attesa giusta e intensa; per vivere l’evento.

Se celebriamo quello che già conosciamo siamo solo cultori di tradizioni religiose.

2 Capire i segni posti da Gesù. Gesù non vive la pasqua ma i segni che lo contengono.

o       Il corpo di Gesù, quello dato per noi. Viene dato per esser mangiato e assimilato.

E’ il vero agnello pasquale, raffigurato nella cena pasquale del popolo ebreo in Egitto.

E’ dunque un corpo sponsale e domanda una risposta sponsale, per fare una sola carne.

Il pane è dato per essere mangiato, per assimilarci a Gesù.

o       Il calice, nuova alleanza nel sangue di Gesù. Quando Dio passa nel paese d’Egitto,

per fare giustizia degli dei, è la fine di tutti quelli che credono in essi. Ma gli ebrei riuniti nella famiglia, oltre la porta segnata con il sangue dell’agnello, che stanno consumando, sono salvi. La salvezza non viene perché sono più onesti degli egiziani ma in virtù dell’agnello a cui sono assimilati e segnati. La nuova alleanza sponsale è donata da Dio in Gesù. Egli viene consegnato da Dio per fare con noi un corpo solo. Senza questo amore per primo di Dio in Gesù non è possibile nessuna alleanza vera ed eterna.

o       La lavanda dei piedi. il deporre la propria vita nella fede di riprenderla di nuovo.

Nel mondo chi vuole salvare la sua vita cerca la ricchezza e il potere e le alleanze giuste e diventa signore allontanandosi e dominando. Gesù è il Signore e il Maestro per nascita e per la sua pienezza di vita. A lui la peccatrice lava i piedi con lacrime d’amore e li asciuga con i capelli, li bacia e li unge con unguento e Maria, sorella di Lazzaro, gli unge i piedi con nardo assai prezioso e li asciuga e li asciuga anch’essa con i suoi capelli. E’ una cosa giusta e bella. Ma Gesù nella sua pasqua pone un nuovo inizio: si toglie le vesti, si curva sui piedi dei discepoli e li lava e poi si rimette le vesti; egli si sveste della vita presente per rivestirla nella risurrezione ed è primizia di una signoria nuova, da imparare e diffondere nelle relazioni dell’uomo. Chi ama fino in fondo si fa servo, come i genitori e coloro che si dedicano a chi è nel bisogno, come chi perdona.

o       Il ministero consacrato in cui agisce il Cristo pastore. Senza ministri ordinati non c’è

né eucaristia né Chiesa. Come leggere la progressiva diminuzione dei ministri? Il ministro è segno di Cristo pastore, che pone i segni di Gesù. Se diventa altro da questo è destinato a non essere sostenuto da Dio. Se si realizzerà e sarà apprezzato e valorizzato come pastore resterà. Oggi domina la critica o l’indifferenza. Occorre che la Chiesa sappia onorare e valorizzare i suoi ministri. L’amore al pastore è come l’amore all’eucaristia. Chi respinge voi respinge me. Deve crescere il diaconato e il laicato. Lo spazio profetico, sacerdotale e regale, la responsabilità di salvare è di tutti.

3 Compiere i segni di Gesù nella vita. Gesù li fa perché siano completati dai discepoli.

Gesù pone la primizia e i discepoli devono seguire con l’abbondanza dei frutti.

L’eucaristia come il matrimonio inizia nella celebrazione e fruttifica nella vita d’amore.

I segni vanno fatti in memoria di Gesù, cioè in continuità con lui per costruire una umanità che ama come lui. Il giovedì santo dà i segni della pasqua e la rende possibile.

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VENERDI'  SANTO  2005

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Il giovedì santo la Chiesa celebra i segni compiuti da Gesù per perpetuare la sua pasqua.

Il venerdì santo e la domenica di risurrezione riempiono questi segni. Gesù vive ciò che essi significano. I segni diventano portatori della salvezza che Gesù offre a chi crede.

Essi vengono celebrati dalla Chiesa, cioè resi contemporanei a noi che li completiamo realizzando in noi quello che manca alla passione e risurrezione di Cristo.

La pasqua storicamente si compie in tre giorni ma la morte e la risurrezione sono unite.

Il corpo è donato per noi sulla croce e la risurrezione è vita che nasce dal sepolcro.

Il legno della croce resta il simbolo di questo mistero di amore, il segno della fede.

Il discepolo che Gesù amava esprime la sua fede, sotto la croce, citando la Scrittura che dice: Guarderanno colui che hanno trafitto. La profezia, dal libro di Isaia, annuncia la sofferenza del servo del Signore e lo chiama uomo dei dolori, uomo senza bellezza né stima. Rivela perché è così: Il Signore ha fatto ricadere su di lui i peccati di tutti; è stato fatto peccato e, come peccatore, abbandonato da Dio e ucciso dagli uomini.

Gesù è questo servo che diventa l’agnello mite e umile che si lascia condurre alla morte nel silenzio. Viene ucciso dalla forza della legge; quella ebraica che si appella a Mosè e quella romana che si appella all’impero. In realtà Mosè non è interpretato con i Profeti e i Salmi e l’impero riconosceva il diritto dell’innocente. Gesù viene ucciso dagli uomini che tradiscono la legge per le loro paure e i loro vili interessi. La lettera agli ebrei dice che Gesù è il sacerdote misericordioso e fedele, che egli imparò l’obbedienza dalle cose che patì e che è causa di salvezza per coloro che gli obbediscono. La passione scritta da Gv non indulge sulla sofferenza ma sottolinea le cose in cui risalta la gloria di Gesù.

o       Gesù è uomo-per, per il padre e per i peccatori. Il suo silenzio mette in risalto la sua obbedienza; Gesù è l’uomo di fede che aspetta che le Scritture si compiano in lui.

o       Gesù è uomo-Dio; davanti a lui coloro che sono venuti per arrestarlo cadono a terra.

      Ha la forza di bere il calice della passione, subisce il processo senza testimoni a suo favore. Sa che il Padre testimonia di lui e questo gli basta, anche se questa testimonianza verrà in un modo che gli uomini non capiscono: nella sua morte. Gesù è l’uomo dell’ora decisa da Dio, l’ora in cui Dio e l’uomo ritrovano la comunione perduta.

La sua morte segna una vita nuova sia per lui sia per tutti quelli che credono in lui.

o       Gesù è uomo-libero, che consegna la sua vita nella liberta e nell’amore pieno.

      Conosce tutto quello che gli doveva accadere e agisce perché si adempiano le Scritture e la parola che egli stesso aveva annunciata. Dice apertamente di essere nato e venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. La verità è il disegno di Dio e la salvezza dell’umanità e del creato in questo disegno. Gesù è venuto perché questo desiderio di Dio si compia e la verità sia conosciuta e goduta da quelli che la cercano.

Abbiamo detto il giorno delle palme che la passione è scritta per giudicarci e salvarci. Giovanni ci ricorda che la passione ci rivela anche la grandezza dell’uomo Gesù.

Gesù è esempio luminoso di come essere di fronte a Dio e agli uomini.

Questa sera non celebriamo la messa. Sostiamo davanti alla croce e la adoriamo in quanto simbolo dell’amore divino. L’albero dell’Eden produceva un frutto che l’uomo ha mangiato contro il disegno di Dio, la croce spinge a donarsi nella fedeltà alla verità espressa nel disegno di Dio. Nella veglia pasquale faremo la processione con il cero pasquale simbolo del Risorto. Questa sera la faremo portando la croce. La liturgia pasquale delinea così la vocazione del popolo di Dio: camminare innalzando il vessillo della croce e della risurrezione, perché, come dice un’antifona del rito di adorazione: Dal legno della croce è venuta la gioia del mondo.

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PASQUA  2005

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Questa pagina del vangelo di Gv è nota a tutti. Importante è ora calarla nella vita. Quando la parola si confronta con l’attualità, dentro la liturgia, acquista un senso nuovo, mai conosciuto prima, quello che Spirito santo vuole manifestare alla Chiesa. Lasciamoci guidare nella nostra meditazione sul vangelo odierno da quattro verbi che descrivono come si manifesta la risurrezione e indicano il percorso ottimale da fare per celebrare la pasqua.

Correre. Dopo la morte di una persona è naturale darsi un tempo di lenta elaborazione del lutto per ricordarla e capire il senso della vita dopo di lei. I discepoli di Emmaus fanno questa elaborazione alla morte di Gesù. Invece il giorno dopo il sabato nel racconto di Giovanni è molto animato, perché il sepolcro vuoto mette in movimento. Maria Maddalena corre ad avvertire Pietro e il discepolo che Gesù amava ed essi corrono al sepolcro. Questa corsa è mossa dal passato vissuto con Gesù, come permane nel cuore; ma lo Spirito santo la guida all’esperienza decisiva della fede. Questa corsa al sepolcro è necessaria anche a noi per celebrare una pasqua vera. La risurrezione non è visibile; restano i segni pasquali.

Vedere. In greco è reso con tre verbi diversi che indicano l’intensità dell’esperienza.

Βλέπω indica un veder di sfuggita. La Maddalena vede il sepolcro senza la pietra tombale; l’altro discepolo appena arrivato scorge le bende. E’ un vedere senza entrare e rendersi conto; è soggetto alla sensazione passeggera e al pregiudizio; infatti Maria pensa subito che il corpo di Gesù sia stato portato via e va ad avvertire gli uomini. Anche noi possiamo avere una sensibilità religiosa ed essere superficiali  nella comprensione.

θεωρέω è il vedere di Pietro che entra nel sepolcro, dove ci sono altri segni che vanno interpretati, ed esamina le bende senza però farsi un’idea precisa.

Oggi, grazie a una conoscenza migliore del testo greco, diamo questa lettura.

Il sudario, che era sopra il capo, non sta con le bende ma a parte ripiegato. Significa che il corpo non è stato rubato, perché chi ruba di notte non si cura di mettere le cose in ordine.

Le bende che avvolgevano il corpo sono invece giacenti, cioè afflosciate come se il corpo fosse uscito senza smuoverle, come un raggio di sole penetra il vetro senza modificarlo.

Possiamo aere una conoscenza parziale del legame tra pasqua e spiritualità.

οράω indica il vedere bene, interamente. L’altro discepolo, dopo che è entrato nel sepolcro e ha osservato le bende e il sudario, vede il legame tra segni e risurrezione, cioè crede.

Queste intensità diverse nel vedere, dipendono dall’intensità dell’amore che lega le singole persone a Gesù o anche a una luce particolare che lo Spirito comunica loro.

Anche per noi è così: non c’è un vedere il Risorto uguale per tutti; dipende dal nostro amore, dal cammino che abbiamo fatto nella quaresima. Queste cose non si ricuperano all’improvviso; il dono di Dio è sempre proporzionato all’attesa di riceverlo.

La fede e la celebrazione non sono uguali in tutte le persone o per tutte le comunità. L’intensità con cui la celebriamo e la testimoniamo è una ricchezza per tutti.

Credere. L’atto di fede è sempre e per tutti dono di Dio. E’ il Risorto che si manifesta e dona di credere. Il dono poi va accolto ed elaborato dalla persona che lo riceve.

La formazione spirituale è la parte più importante della nostra vita.

Comprendere. Non avevano ancora compreso la Scrittura. E’ necessario che la fede sia nutrita dalla Parola. L’emozione e lo stupore devono essere sostenuti nella vita quotidiana dalla meditazione della parola di Dio. Dopo la corsa per vedere i segni di Dio e viverli nella celebrazione della fede c’è l’ascoltare, come hanno fatto i discepoli di Emmaus.

La catechesi puntuale e perseverante è elemento importante per mantenere la vita cristiana.

La festa di Pasqua non è solo emozione, meno ancora è tradizione o consumismo religioso; è invece un’esperienza con Gesù che matura progressivamente nel tempo in chi sa correre, vedere, credere e comprendere. Cresce allora puntuale e spontanea la testimonianza della risurrezione, come è descritta negli atti degli apostoli e negli scritti cristiani.

Oggi sarà buona pasqua se cresciamo nella fede e diamo testimonianza che Cristo è risorto.

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PASQUA  2  A  2005

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Il discepolo che Gesù amava è l’unico che rimane vicino a Gesù nella sua pasqua. Egli crede in Gesù e lo testimonia. Sotto la croce è il discepolo che vede e testimonia affinché tutti possano credere e nel sepolcro vuoto vede il sudario e le bende e crede.

Questa pagina rivela dove nasce la fede e il cammino necessario per avere la vita eterna.

La domenica di pasqua e otto giorni dopo i discepoli sono insieme, come una comunità che vive in difesa e nella paura. Viene Gesù e sta ritto in piedi davanti a loro, dona la pace e trasmette sicurezza. La comunità riunita attorno a lui diventa la comunità della gioia. La domenica sarà così il giorno della risurrezione, primizia della creazione nuova, giorno del Signore che incontra la sua sposa, la comunità cristiana.

I discepoli non possono vedere il Risorto ma Gesù si rivela loro attraverso alcuni segni. 

o       Il soffio. Gesù soffiando comunica lo Spirito santo. Come Adamo è divenuto vivente grazie al soffio del Creatore così i discepoli diventano figli di Dio ricevendo lo Spirito santo. Questo dono viene dato a tutti coloro che credono alla parola e ricevono il battesimo e la confermazione.

o       La missione. Gesù dona di partecipare alla missione che egli ha ricevuto dal Padre.

      I discepoli non sono solo salvati ma anche portatori di salvezza per l’umanità.

o       La pace. Gesù dona la pace, quella che il mondo non può dare ma lui sì, perché è frutto dell’amore di Dio partecipato agli uomini. Attraverso questi segni Gesù configura a lui i credenti  ed essi lo conoscono come il Risorto che vive in loro.

Giovanni descrive anche l’avventura di Tommaso, apostolo generoso e sincero.

Non era con la comunità il giorno di Pasqua quando Gesù era venuto la prima volta.

Chi è assente dall’assemblea non incontra il Risorto e non riceve i suoi doni.

Non ha lo Spirito del Risorto per ricevere la fede come suo dono e quindi deve affidarsi alla testimonianza di chi era presente e crede, cioè della comunità celebrante.

Chi non ha ancora visto il Risorto, anche se accoglie la testimonianza della Chiesa, può contare solo sul vedere e toccare. Se invece è il Risorto a mostrare e a donarsi allora si è conquistati da lui e si crede.

Tommaso fa una grande professione di fede, perché chiama Gesù Mio signore e mio Dio.

La fede di Tommaso, come quella degli altri discepoli, non nasce dai sensi, cioè dal vedere e dal toccare; egli passa da incredulo a credente in virtù del Signore che si mostra e si dona a lui quando Tommaso è presente nella comunità. Gesù conclude l’incontro proclamando una bella beatitudine.  La traduzione della CEI suona così: perché mi hai veduto hai creduto. In realtà Gesù fa a Tommaso una domanda allo scopo di attirare la sua attenzione. Hai creduto, perché hai veduto? La risposta sottintesa è: non ho creduto perché ho veduto ma perché tu mi hai incontrato.

E Gesù può dire: Beati quelli che hanno creduto senza vedere! La fede è credere perché il Risorto ci incontra dentro la comunità riunita nel giorno del Signore.

Lo è per i primi discepoli e per noi. Se infatti vedessimo il Signore non saremo più nella fede ma nella visione, quello stato che secondo Giovanni appartiene al cielo.

Il Signore ci dice così da dove nasce la fede. Dalla celebrazione della domenica, dove siamo una comunità riunita ad ascoltare la parola del Risorto e a spezzare il suo pane e possiamo aderire personalmente all’azione santificante dello Spirito.

I segni di Gesù, sottolinea Giovanni, sono scritti e celebrati perché abbiamo la vita nel nome di Gesù. Oggi ringraziamo il Signore che ci rivela il valore della domenica e preghiamo per tutti quelli che hanno smarrito questa verità fondamentale per la salvezza.

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PASQUA  3  A  2005

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Questo testo di Luca è molto bello, una pagina conosciuta e che coinvolge sempre.

Nella liturgia non è solo meditazione, perché l’eucaristia la rende attuale in noi.

Siamo nel giorno della risurrezione, uno della settimana della nuova creazione. I nostri giorni sono giorni in cui il Risorto viene e fa nuove tutte le cose, preparando il Regno, i cieli e la terra nuovi. Gesù ha abitato la nostra terra ma ora non vive più nella condizione terrena ma abita la risurrezione, non viene a noi dal passato ma dal futuro.

Noi facciamo memoria di lui con le parole e i segni che egli ha compiuto e con cui Dio lo ha fatto conoscere agli uomini. Quando il ministro pone questi segni, come fa oggi nell’eucaristia, Gesù dalla risurrezione viene, si manifesta a noi nella liturgia che celebriamo e ci trasforma con la sua grazia, nella potenza dello Spirito santo.

Cos’è  al centro di questo racconto lucano? C’è un luogo scelto da Dio in cui è avvenuto un evento che doveva avvenire, si è compiuta un’ora attesa da Dio e dagli uomini.

E’ il luogo dove è iniziato il nuovo mondo; è l’ora in cui è nata la nuova storia: è Gerusalemme. A Gerusalemme arrivano tutti i percorsi e le ore del passato e da Gerusalemme si snodano i percorsi e le ore del futuro.

Gesù ha iniziato a rivelarsi a Nazaret e la sua vita è stata un cammino verso Gerusa-lemme, il luogo dove Dio ha manifestato l’amore grande per la creazione.

Nazaret è l’incarnazione dove l’umano e divino si sono uniti nella persona di Gesù.

Ma lì il divino era come svuotato ed era l’umano a imporsi agli occhi di tutti.

Gerusalemme è il luogo dove l’umano viene consegnato e umiliato e il divino si svela. Gesù sapeva di andare a ricevere il suo battesimo, dove la sua vita sarebbe cambiata, primizia per tutta la creazione. Egli conosceva le Scritture e sapeva che doveva soffrire molto ed essere condannato e ucciso. Lo aveva rivelato ai suoi con parole che essi allora non avevano capito e Pietro aveva anche tentato di rimuovere.

Gesù fu profeta in opera e parola davanti a Dio e al popolo, perché dilatava la sua vita e la creazione verso spazi nuovi. Era un uomo che consegnava la sua vita umana per riprenderla risorta. Intendeva liberare Israele seguendo il progetto di Dio e non i pensieri dell’uomo. Era appena il terzo giorno da quando queste cose erano accadute e due discepoli già se ne ritornavano sui loro passi, tristi e delusi.

Gesù li ricondurrà a Gerusalemme, dove era radunato il popolo che aveva lasciato l’Egitto, e attendeva il passaggio di Dio. Dio passa, celebra la pasqua, fa giustizia, decide dove sta la vita e la morte; fa della croce e della risurrezione, il battesimo di vita eterna.

Questa esperienza è fondamentale.In quel luogo prescelto da Dio, in quella prima ora della storia nuova, il Signore apre gli occhi dei discepoli ed essi vedono; riempie i loro cuori di gioia ed essi partecipano al battesimo che li mette nel cammino umano e divino che Gesù aveva fatto, confortati con la sua presenza.

Qui Gesù diventa πάροικος, uno che abita da parte. Abita perché si manifesta nei segni e quindi è presente, da parte perché non vive la nostra vita ma quella risorta.

Riconoscere l’invisibile nei segni che ci ha lasciato e che lo rendono presente a noi fino alla fine del mondo, nella potenza dello Spirito santo, è la pasqua e ogni celebrazione.

La nostra vita è un lungo tratto di strada, in cui Gesù, πάροικος, ci accompagna a Gerusalemme, nella sua comunità, per farci conoscere la via della verità e colmarci di gioia alla sua presenza; Gesù rende ci manda al mondo da Gerusalemme, anche noi “forestieri”, persone che, come insegna la Didaché, abitano la terra come non la abitassero. Occorre, come insegna S. Pietro, vivere come stranieri e pellegrini che hanno la fede e la speranza fisse in Dio. Preghiamo nello Spirito santo perché questo disegno si compia.

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PASQUA  4  A  2005

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Gesù Risorto è il pastore, quello bello, presentato così da Gv nel capitolo 10 del vangelo.

Dio è il guardiano del gregge che apre la porta al pastore perché entri nel recinto delle pecore. Αυλή-recinto nella bibbia indica il cortile interno del tempio, dove il popolo si riuniva per il culto; è  luogo e simbolo della comunione tra Dio e il suo popolo.

Gesù è la porta delle pecore. I cristiani possono accedere a Dio solo attraverso di lui.

Diventano membri del popolo di Dio quando sono conformati a Gesù che è il tempio distrutto dai giudei ed edificato nuovo il terzo giorno da Dio. Il popolo di Dio è tutto pastorale. La pastorale infatti è sviluppo e impegno del battesimo. Ci sono i pastori ministri; essi sono tali per la speciale configurazione a Gesù-pastore, data dal sacramento dell’Ordine. Anche per loro Gesù è la porta, il passaggio naturale ed obbligato. Coloro che non entrano attraverso Gesù sono ladri e predoni. Non basta lavorare nella Chiesa per essere pastori autentici. La pastorale non è delegata dalla comunità ma deriva dalla configurazione a Cristo data dai sacramenti dell’iniziazione e dell’Ordine. Senza riferimento a Cristo si utilizza la religione, i suoi testi e i suoi riti, per visioni umane e di potere. I ladri ed i predoni finiscono con il proporre, come i farisei, una religione fossilizzata e incapace di rispondere al desiderio di Dio che vive nel cuore dell’uomo. I fedeli infatti, per la natura della Chiesa, sono chiamati ad ascoltare e seguire i loro pastori ma hanno il diritto di obbedire a Dio e non a uomini. Dio ha dato loro la sensibilità di distinguere la voce del pastore, che è entrato per la porta-Cristo, da quella degli estranei, cioè dei ladri e dei predoni. Questa sensibilità diventa responsabilità di vegliare per loro e ultima istanza per Dio. Anche il Sinedrio aveva paura della folla che considerava Gesù un profeta, e di quella che difendeva i Dodici testimoni del Risorto. E il Sinedrio ha perso la sua causa.

I tratti caratteristici di Gesù pastore sono il rifiuto della violenza e l’accettazione della sofferenza, perché si affermi la giustizia di Dio e siano ricuperati ad essa tutti gli uomini. Questo afferma Pietro nella seconda lettura. Il pastore può raccogliere le pecore erranti proprio per la sua passione per la giustizia divina, la sua obbedienza e la sua fede.

I pastori veri non sono quelli che fanno molti proseliti e che vedono il successo ma quelli seguiti da discepoli che si dedicano alla causa rifiutando la violenza e confrontandosi con la persecuzione interna e la sofferenza. I cristiani hanno come criterio la vita di Gesù. Nella Chiesa non ci può essere spazio per i diplomatici e i mercanti.

Occorre il rispetto per i cammini di fede diversi e per le tappe progressive della crescita, e la pazienza nell’attendere maturazioni lente, ma la meta deve restare fissa: salire a Gerusalemme, il luogo pasquale dove si compiono le promesse da Dio.

In una Chiesa pensata così diventa centrale la conoscenza fra pastori e fedeli. Gesù fa la duplice affermazione: il pastore conosce le sue pecore; le pecore conoscono la voce del pastore. Oggi questa conoscenza è compromessa. In una parrocchia rurale con abbondanza di clero, la cultura limitata alle elementari, la giornata regolata dal sorgere e dal calare del sole, le informazioni affidate al passaparola, il parroco riconosciuto nel suo ruolo e la cultura omogenea, bastava poco per conoscersi. Oggi questa conoscenza non è possibile e non sarebbe sufficiente per condividere la fede. I pastori che continuano così si esauriscono e sono assorbiti dalla gente che è ancorata altrove. Bisogna incontrarsi, confrontarsi e riconoscersi in altri modi; bisogna che la gente si muova per fare Chiesa attorno alla parola, ai sacramenti e alla carità e non abbia paura ad aprire le porte a Cristo, seguendo i pastori che camminano davanti con coraggio e mettono in gioco il vangelo con la vita di oggi, che non sono custodi di tradizioni ma ospiti dello Spirito.

Oggi, giornata delle vocazioni, preghiamo secondo la parola che abbiamo ascoltata.

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PASQUA  5  A  2005

 

 

Giovanni colloca le parole di Gesù che abbiamo ascoltato entro l’ultima cena; le presenta come il suo testamento. Gesù parla con immagini.

Domenica ha descritto la Chiesa come un ovile e ha detto di essere lui la porta.

Oggi presenta la vita come cammino verso il Padre e dice di essere lui la strada.

Ora il Risorto vive nella casa del Padre dove prepara un posto per i suoi amici, poi verrà a prenderli e portarli dov’è lui. Solo Gesù può condurli al Padre, per due motivi.

- Gesù è in tale comunione con il Padre che conoscere lui è conoscere il Padre e vedere lui è veder il Padre Padre. Infatti Gesù dona agli amici tutto ciò che il Padre ha fatto conoscere a lui, li mette nella possibilità di essere figli di Dio.

- Gesù è la via per noi. Oggi vige la moda di cercare mediatori più umani che domandano meno. Dio infatti è esigente perché ci chiede di trasformarci e di diventare come suo Figlio. E la trasformazione richiede la croce, mentre seguire le persone e le cose che piacciono non richiede cambiamenti radicali e dolorosi.

Gesù è la via perché è la verità, la rivelazione realizzata del progetto di Dio.

Gesù è la via perché è la vita, l’uomo nuovo, il Figlio che ci porta a diventare figli di Dio.

Gesù dice a Filippo che non c’è altro da conoscere per vedere il Padre ed esorta i suoi a non turbarsi nel cuore ma a credere nel Padre e in lui. Il verbo ταράσσω indica sia agitare sia turbare. Credere significa affidarsi serenamente. Ecco alcune indicazioni.

o       Il discepolo non si lascia turbare dagli eventi naturali.

E’ naturale che alcuni muoiano ed altri nascano. Gli uomini sono in mano a Dio.

Dio ha scelto, per mezzo di vecchi cardinali, il pennello con cui dipingere il prossimo tratto di storia della salvezza. Se la nostra speranza è solo in Dio, perché agitarsi?

Meglio interrogarci se noi aderiamo veramente a Cristo, strada che porta al Padre.

I media e i potenti che si sono mossi per onorare il papa sono quelli che prima non gli hanno creduto e che ora continuano a fare i loro interessi. Ora che le cose sono compiute dobbiamo fare i conti con la Chiesa che resta piccola, insignificante per il mondo e perseguitata, come prima. E’ solo la conversione che può dare valore alla vita.

Sarebbe utile una riflessione sui tre primati che Gesù ha lasciato alla Chiesa, tutti tre incarnati da un apostolo: il primato di Pietro, quello di Giovanni e quello di Giuda. Avremmo una visione meno distorta della nostra vita e delle cose di Dio.

o       Il discepolo supera il turbamento di fronte al mistero.

L’anima di Gesù è turbata di fronte all’imminenza dell’ora della passione 12,27, quando annuncia il tradimento di Giuda 13,21 e di fronte al pianto per la morte di Lazzaro 11,33.

Il turbamento davanti al mistero è una componente dell’animo umano che dobbiamo risolvere alla luce della fede. La morte di Gesù, in mano di Dio, si è tramutata in vita nuova e quindi è stata la modalità necessaria del suo andare verso la casa del Padre.

La risurrezione inizia la venuta di Gesù nella grazia, che trasforma e prepara i cristiani ad essere familiari di Dio e a condividerne la vita, quando giungeranno nella sua casa.

o       Il discepolo fa le scelte che deve fare ogni pellegrino.

Chi cammina ha bisogno di due cose: portare con sé solo quello che è necessario al cammino, in modo di avanzare speditamente e con meno fatica.

Avere cibo ed acqua secondo il bisogno, per mantenere la forze necessarie.

Dio ha dato alla Chiesa lo Spirito santo e l’eucaristia, perché viva un’esistenza pasquale.

Siamo persone morte al peccato e viventi per Dio. Preghiamo perché i cristiani comprendono che Gesù è la strada aperta da Dio davanti a loro e perché la seguano.

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PASQUA  6  A  2005

 

 

In questa domenica 20 bambini fanno la prima comunione. Meditiamo la Parola alla luce di questa celebrazione che è importante per tutti. I bambini si sono preparati in cinque anni di catechismo, le loro famiglie li hanno accompagnati e la comunità li ha educati e oggi li ammette alla comunione. Come la famiglia anche la comunità accompagna.

Il termine prima comunione fa pensare al primo incontro di due persone che si amano. Ha indubbiamente un fascino che non si dimentica ma è solo il primo di altri incontri in cui le due persone crescono insieme fino a raggiungere l’amore maturo, fedele e fecondo. Che valore può avere il primo incontro di due persone, senza il cammino successivo, in cui l’amore cresce nel tempo?

Il primo incontro con Gesù non è ancora pienezza dell’amicizia; non richiede la festa che si fa, ad esempio, nel giorno del matrimonio, in cui si celebra l’alleanza definitiva.

La festa che i bambini condividono con familiari ed amici deve esprimere la gioia di condividere tutti insieme la comunione con Gesù. La prima comunione è il momento in cui i bambini partecipano alla comunione eucaristica come i grandi, fanno parte di una comunità che all’altare si riconosce, dialoga e si nutre insieme per camminare insieme.

Oggi preghiamo perché il primo incontro dei bambini con Gesù porti tutti i valorizzare la comunione. Noi adulti possiamo pensare alla nostra prima comunione e a quelle che sono seguite e domandarci: si è creata tra noi e Dio, tra noi e la comunità cristiana in cui viviamo, una comunione significativa? Allora la festa che segue la Messa di prima comunione non è solo festa umana tra parenti e amici ma la festa della fede condivisa.

Il vangelo che abbiamo ascoltato spiega come deve essere il nostro amore per Gesù.

Se amiamo Gesù osserviamo i suoi comandamenti. Così fa anche Gesù con il Padre.

Egli lo ama perché conosce i suoi desideri e li compie. I comandamenti sono i desideri profondi che coloro che amano nutrono verso le persone amate.

I desideri di Dio verso Gesù e di Gesù verso di noi sono il vangelo, la buona notizia che Gesù ha annunciato. Ama Dio colui che mette in pratica le cose che ha imparato da Gesù, perché il vangelo racconta i desideri di Dio per lui e per noi.

L’amore nasce dal Padre, che lo riversa nel Figlio, che lo riversa in noi.

A nostra volta noi siamo chiamati a riversare il nostro amore su Dio e sui fratelli, amando il Padre come Gesù lo ha amato e amandoci fra di noi come Gesù ci ha amato.

Tutto questo è possibile? Sì, perché Gesù ha pregato il Padre di donarci lo Spirito santo, in modo che abiti in noi per sempre. E’ lo stesso Spirito che abita nella Trinità, la comunità di Dio. Egli in noi è il secondo paraclito, dopo Gesù, a intercedere per noi e a ottenerci la consolazione, la gioia di vivere nella comunione divina e umana.

Il nostro amore non è solo nostro ma è permeato dall’amore divino e diventa esso stesso divino e la nostra vita diventa eterna. Non è possibile senza lo Spirito.

L’umiltà e la preghiera stanno alla base della spiritualità cristiana.

Quando abbiamo in noi la pienezza dello Spirito, che ci è dato nella cresima; abbiamo la grande forza per far una comunione significativa. Ecco perché dopo la cresima e dopo una adeguata preparazione, celebriamo la comunione di maturità. Allora la comunione è vivere la maturità dell’alleanza resa possibile dalla pienezza dello Spirito in noi.

Questa fede nello Spirito ci dispone alla prossima solennità della Pentecoste.

Quest’anno la celebreremo con la veglia liturgica, come abbiamo celebrato la Pasqua.

I cristiani hanno bisogno della confermazione. Pietro e Giovanni discendono in Samaria e impongono le mani alle folle che il diacono Filippo aveva evangelizzato e battezzato. Con il dono dello Spirito saremo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi, quella per cui ogni domenica ci riuniamo a celebrare l’eucaristia.

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ASCENSIONE  A  2005

 

Mt e Gv non riferiscono l’ascensione di Gesù; Mc la accenna. Lc la narra due volte: alla fine del vangelo e all’inizio degli atti degli apostoli. In realtà ascensione e risurrezione dicono lo stesso mistero. Colui che è risuscitato è nel cielo, vive nella vita eterna/divina.

Lc parla di un tempo di 40 giorni passato da Gesù con i discepoli dopo la risurrezione. Si tratta di un tempo simbolico, legato com’è alla tradizione biblica. Come Mosè sta 40 giorni sul Sinai per accogliere da Dio la legge da portare a Israele, come Gesù sta 40 giorni nel deserto per prepararsi ad annunciare il regno di Dio, così i discepoli stanno 40 giorni con Gesù per prepararsi alla missione di annunciare il regno di Dio al mondo.

E’ un tempo difficile in cui i discepoli vengono educati a vivere senza la presenza fisica di Gesù e a familiarizzare con la sua presenza spirituale. L’ascensione significa che la relazione umana di Gesù è finita ed è iniziata quella spirituale. I discepoli hanno bisogno di un tempo per acquisire questa nuova realtà e diventare testimoni sicuri e quindi attendibili, contro i dubbi che insorgono e le accuse e calunnie da cui saranno provati.

Gesù ha affidato allo Spirito santo tutto quello che è suo: la parola, i segni, l’amore.

I discepoli devono imparare a farsi guidare dallo Spirito alla comunione con Gesù.

Anche noi abbiamo bisogno di un periodo forte, da vivere nella liturgia, per interiorizzare la presenza di Cristo, per fare esperienza dell’azione dello Spirito e per testimoniare queste presenze nella missione che Gesù ci ha affidato, senza venir meno di fronte a problemi nuovi e alle ostilità e persecuzioni che la nostra testimonianza può sollevare.

Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. Gesù ci rimanda alla sua nascita, in cui egli è diventato l’Emmanuele, il Dio con noi nella nostra carne. La risurrezione inaugura una presenza reale come quella inaugurata dalla nascita, ma nuova in virtù della glorificazione di Gesù. Queste presenze sono percepite, interiorizzate e testimoniate nel cammino ecclesiale entro la storia fino a raggiungere i confini del mondo.

L’angelo domanda ai discepoli: uomini di Galilea, perché state guardare il cielo?

I discepoli non possono rimpiangere il tempo passato con Gesù o fermarsi a una memoria nostalgica di lui o a una presenza interiorizzata e devozionale. La presenza di Gesù deve continuare ad operare la salvezza per mezzo della loro testimonianza.

Anche il cristiano di oggi può rifugiarsi in una falsa mistica che non diventa vita vissuta, può immergersi nell’azione sociale o pastorale dimenticando lo Spirito santo o aderire a movimenti spiritualistici disincarnati e ridurre la fede a devozione. Il cristiano è chiamato ad aderire allo Spirito e a incarnarsi nel luogo e nel momento storico in cui vive.

Andando dunque fate discepole tutte le genti. Gesù ha chiamato i discepoli a fare esperienza personale della sua sequela, ad essere suoi discepoli.

Ora devono far in modo che tutti coloro che accolgono la parola e credono in Gesù possano vive la sua sequela. La vita cristiana non sta nell’aderire alle idee cristiane, a una dottrina, ma nel trattenere una relazione personale e attiva con Gesù.

Il vangelo è affidato alle mani dei discepoli di tutti i tempi ed è un tesoro in vasi di creta.

Dio manda a percorrere tutto il mondo uomini che conoscono solo le strade della Palestina; manda ad annunciare il vangelo a tutte le culture uomini che conoscono solo la lingua paterna; manda a essere testimoni della fede uomini che dubitano ancora e che in passato lo avevano abbandonato. Oggi, come in passato, la testimonianza è affidata a persone fragili. Gesù ha bisogno di questa umile testimonianza e dona, a coloro che chiama ad essergli testimoni, il suo Spirito, perché la loro testimonianza sia feconda.

Non possiamo delegare la nostra testimonianza neppure con la scusa della nostra povertà.

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PENTECOSTE 2005, Liturgia nella notte

 

 

Questa Veglia è strutturata come la veglia pasquale: sei letture, un segno, l’eucaristia.

Per la prima volta celebriamo la veglia come festa solenne, sullo schema della pasqua.

Dal VT abbiamo ascoltato due pagine dal Pentateuco, i vangeli ebraici.

-         Babele e la torre, come tentativo di essere come Dio e esperienza d ella dispersione.

Nel NT Pentecoste e lo Spirito come dono dell’unità resa possibile da Dio.

-         Teofania del Sinai come evento dell’alleanza legata alla Legge.

Nel NT Pentecoste come evento dell’alleanza legata allo Spirito.

Questi temi ritornano nella celebrazione del giorno e li mediteremo domani.

Abbiamo ascoltato due pagine dei profeti.

-         Ezechiele descrive la pianura della morte con una distesa di ossa inaridite.

Erano un esercito grande e sterminato, il segno più grande della potenza umana.

Che cosa rimane della potenza umana? Una distesa di ossa inaridite

Erano tutta la gente di Israele, il tempo in cui nessuno era risuscitato dai morti.

Che cos’è Israele e la sua elezione senza risurrezione dai morti?

Sono parole profetiche, e dicono che la situazione attuale sarà modificata.

Dio aprirà le tombe, resusciterà i morti, farà arrivare alla terra promessa.

Dio fa vivere dal suo Spirito, dal suo amore.

- Gioele annuncia che tutti diventeranno profeti, che anche gli anziani faranno segni, che anche gli schiavi riceveranno lo Spirito. La possibilità della salvezza sarà estesa a tutti.

Dal NT abbiamo ascoltato una rivelazione per mezzo di Paolo.

-         La creazione e coloro che possiedono le primizie dello Spirito soffrono le doglie del parto; lo Spirito è primizia del futuro dell’amore: aspettiamo l’adozione a figli.

-         Gv accosta lo Spirito all’acqua; essa diventa simbolo dello Spirito (Rm 8,22-23).

Gesù dice alla Samaritana: Chi beve l’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno;

               l’acqua diventerà in lui sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna (4,14).

Nella festa dei tabernacoli il sacerdote versava l’acqua , prelevata dalla piscina di Siloe, sull’altare chiedendo la pioggia di primavera.

Gesù rivela una cosa più importante.

 Se qualcuno ha sete venga a me e beva; fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal grembo di chi crede in me. Lo Spirito sarà acqua di primavera che farà germogliare le cose nuove.

Uno dei soldati con la sua lancia trafisse il fianco e subito uscì sangue ed acqua (19,34). L’acqua che esce la costato del Crocifisso è lo Spirito che santifica la sposa di Gesù per le nozze dell’alleanza eterna.

Viviamo bene il segno: il lumino acceso che poniamo sul battistero.

Ognuno di noi ha ricevuto lo Spirito dal Risorto.

Il battesimo è stato la primizia; la cresima ce lo ha dato in pienezza.

La Parola e gli altri sacramenti ci santificano per la potenza dello Spirito santo.

I carismi e le vocazioni diverse a cui il Signore ci chiama sono realizzate nello Spirito.

Questa notte, in particolare, celebriamo l’eucaristia con attenzione all’opera dello Spirito in noi e nella nostra comunità.

Siamo chiamati ad essere, insieme, come Giovanni il Battista: un fuoco che illumina e riscalda e a cui le persone, ora lontane da Dio, possono rallegrarsi della grazia di Dio.

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PENTECOSTE  A  2005, Liturgia del giorno

 

 

La solennità della Pentecoste, anno A, è presentata da tre autori: Luca, Giovanni e Paolo.

Luca in At 2 racconta l’evento. L’abbiamo meditato all’inizio dell’anno pastorale. icona

La pentecoste era una festa ebraica; al tempo di Gesù celebrava l’alleanza del Sinai.

Là Israele diventa popolo di Dio, grazie a una scelta: Dio sceglie Israele fra gli altri popoli e Israele sceglie di appartenere a Dio, vivendo la Legge proclamata da Mosè.

La pentecoste cristiana è legata a due eventi della vita di Gesù.

o       l’alleanza nel sua sangue nel Calvario. Là la Chiesa diventa il nuovo popolo di Dio. Infatti Gesù sceglie la Chiesa, perché morendo la redime e risorgendo la fa sua sposa.

     La Chiesa sceglie Gesù, vive secondo lo Spirito che Gesù le dona, vive in comunione.

o       il battesimo di Gesù e la sua missione.

Lo Spirito santo discende su Gesù e Dio lo riconosce suo figlio, l’amato.

Gesù, fatte l’esperienza del deserto e della tentazione, annuncia il regno di Dio.

La pentecoste cristiana è legata alla nostra vita.

o       Il dono dello Spirito nel battesimo ci fa figli di Dio e nella cresima ci fa testimoni.

o       Il dono dell’alleanza che celebriamo ogni domenica, pasqua della settimana, è il battesimo della Chiesa che diventa popolo di Dio e missionaria, vincendo ogni paura.

Il racconto lucano mette anche la Pentecoste in relazione con la torre di Babele.

A Babele gli uomini hanno tentato di costruire una torre che raggiungesse il cielo, cioè di diventare come Dio. Ma Dio ha confuso le loro lingue e li ha dispersi sulla terra.

Si ripete l’esperienza del peccato d’origine: ribellione dell’uomo e dispersione sulla terra.

La pretesa di essere come Dio genera un’infinità di divisioni e di guerre e di oppressioni.

A Pentecoste gli uomini dispersi a causa delle separazioni provocate dal peccato, vengono unificati in un solo popolo, perché annunciano le grandi opere di Dio.

Parlare varie lingue non significa essere poliglotti ma portare un contenuto unificante.

Lo Spirito comunica il linguaggio dell’amore, comprensibile a tutti gli uomini e capace di unificarli in un popolo solo. La Chiesa crede all’amore e lo annuncia nella sua vita?

La testimonianza dell’amore/unità fa della Chiesa un popolo solo e porta tutti alla fede.

Infatti Gesù chiede al Padre l’unità, perché il mondo creda.

Giovanni rivela che il dono dello Spirito viene fatto dal Risorto il giorno stesso della risurrezione. Pasqua e Pentecoste sono allora parte dello stesso evento. Gv lo presenta come una nuova creazione. Come Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nella sue narici un alito di vita, così Gesù soffia sui discepoli lo Spirito, alito di una nuova vita.

Anche Gv lega il dono dello Spirito alla missione. “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Al dono dello Spirito è legato il dono di rimettere i peccati, riservato a Dio e al Figlio. Ora appartiene anche alla Chiesa, al suo ministero.

Paolo rivela che lo Spirito porta all’unità, chiama i diversi ad essere uniti.

Viene opportuna una domanda cruciale: come si realizza l’unità cristiana? 

Essere cristiani che si mettono insieme? Avere regole che uniformano? Essere uniformi?

L’unità attorno all’uomo, alle sue filosofie e alle sue realizzazioni non è l’unità cristiana. L’unità si fa attorno alla parola, ai sacramenti e all’amore di Dio: attorno allo Spirito.

L’unità è un gioco di carismi, che devono rimanere diversi e originali ed originare esperienze diverse. Sono unificati dall’amore che ci fa essere l’unico popolo di Dio.

La Scrittura dice il difficile cammino di chi segue lo Spirito: non contristarlo o spegnerlo. La pentecoste rimane celebrazione della gioia e spazio per l’ottimismo. 

Abbiamo con noi lo Spirito di Dio, spirito di santità, fortezza e generosità.

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Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo in Conegliano (TV)