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Parrocchia dell'Annunciazione a Maria Vergine

Campolongo di Conegliano (TV)

9 maggio 1990

 

2.  La parola del Vescovo.

 

La parola del Vescovo deve essere concisa, breve, pos­sibilmente significativa di qualche  cosa che  sente di voi.

Mi permettete di tornare solo per un attimo, perché vorrei che la mia parola fosse significativa di quanto io vedo in questa comunità, a quella breve parola che vi ho detto in Chiesa.

Di fronte ad una comunità cristiana vivace, che sta rinnovandosi, di fronte a dei fratelli e a delle so­relle che vivono questo impe­gno, io non ho altro com­pito  più grande di quello di invitarvi ad adorare con me la grazia dello Spirito che è in voi.

Questa per me è la prima cosa. Dobbiamo guardare con occhio di fede a questo Spirito che in voi agisce e si manifesta con i suoi frutti.

Detto questo faccio alcune semplici sottolineature.

 

Io vorrei dirvi una parola anzitutto sulle scelte che avete fatto.

Mi pare che avete scelto in perfetta sintonia con il piano pastorale diocesano.

Dico perfetta perché se c'è una preoccupazione che at­traversa il piano pastorale '86/'90, e che attraverserà anche quello degli anni '90 che stiamo preparando, è esattamente questa: una nuova evangelizzazione, una più profonda evangelizzazione, una più incisiva evangelizzazione della nostra gente.

Così siete in sintonia anche con il convegno delle Chiese delle Ve­nezie che abbiamo celebrato ad Aquileia dal 28 aprile al 1 maggio.

Mi sembra che questa scelta sia stata anch'essa frutto dello Spi­rito.

Vorrei dirvi: avete fatto bene a scegliere famiglia, comunità di base, giovani; sono ambiti di un impegno pastorale che ha come obiettivo l'evangelizzazione e l'educazione alla fede per una coerenza di vita.

 

 

2.1.   La famiglia

 

Andate avanti senza cercare il numero. Avete detto: siamo 40, po­tremmo essere molti di più. Lasciate che io vi domandi: erano in 12, sono rimasti in 11 e hanno cambiato il mondo; sì o no ?.

Non cercate il numero, ma cercate di formare le persone in maniera che scoprano la sacramentalità del loro es­sere coniugi, sposi, padri e madri.

Il matrimonio è il sacramento che fa di una realtà di laici l'espressione piena e l'immagine reale della Chiesa intera, Cristo con il corpo suo.

Io credo che bisogni sviluppare questa consapevolezza di essere oggetto investito da una grazia e nello stesso tempo sacramento di una Chiesa che diventa espressione della salvezza.

I coniugi sono segno e strumento dell'azione di sal­vezza nei con­fronti l'uno dell'altro, nei confronti dei figli che nascono ma anche nei confronti di tutta la comunità cristiana di cui la famiglia, chiesa dome­stica, è la prima espressione nell'ambito della realtà sa­cramentale.

E' da anni che il Centro Pastorale della Famiglia e an­che il Ve­scovo, che ha il dovere di coordinare e pro­muovere l'azione pasto­rale con cui la sua Chiesa si co­struisce, predicano, supplicano e im­plorano di non fer­marsi ai corsi di preparazione al matrimonio.

Essi sono una realtà che va mantenuta fino a quando non avremo sostituito queste esperienze con quello che noi riteniamo sia l'ottimo, cioè con degli autentici itine­rari di fede in preparazione al matrimonio.

Lo sforzo sarà grosso ma voi lo avvertite già.

Dite: partecipano volentieri a dei corsi in forania perché non sono così impegnativi come un itinerario di fede, che li coinvolge nella loro comunità in­sieme alle altre famiglie, insieme al sacerdote, insieme ad altre realtà della stessa comunità cristiana.

Quindi io vi pregherei di curare:

- la formazione sacramentale da cui nasce una spiritualità della coppia e della famiglia;

- la formazione che precede il matrimonio con degli itinerari di fede;

- Il coinvolgere la famiglia nell'azione di iniziazione cristiana dei figli, perché i primi catechisti sono pur sem­pre i genitori. Nella preparazione al battesimo, alla cre­sima, alla stessa celebrazione dell'eucarestia i genitori devono essere coin­volti.

I gruppi famiglia sono una grande benedizione, ma io dico che i gruppi famiglia devono aprirsi anche a que­sto servizio ecclesiale intrafamiliare ed extrafamiliare. Che poi  si faccia difficoltà a costi­tuire i gruppi, che questi gruppi di famiglie soffrano ogni tanto di emorragie, che ci sia stata una difficoltà per voi tra il rimescolamento dei gruppi e la presenza nelle zone, questo è nor­male.

Perché dovremo stupirci delle difficoltà?

Io vedo il bello proprio nelle difficoltà che rendono ancora più mature le scelte e più responsabile l'impegno.

 

2.2.  Le comunità di base

 

Secondo problema per me è quello delle comunità di base.

"Gradiremmo, è stato chiesto, che ci si dicesse se que­sta è la strada giusta".

Io vi dico: Si, purché ab­biate la costanza di per­correrla.

Non pensate di doverlo fare in pochissimo tempo o che in questo modo raggiungerete il 100% della gente che vive e vivrà a Campolongo.

Voi avete impostato gli incontri in modo che abbiano la parola di Dio al centro e un momento di riflessione e di informazione sulla vita della comunità parrocchiale.  Vi direi, continuate in questo modo. Queste comunità nasceranno in ma­niera forse difforme  nelle singole zone; non importa.

Vorrei darvi un appuntamento.

Se fra cinque anni faremo un bilancio forse vedrete che l'aver creduto in questa forma di presenza nel quartiere si sarà rivelata una cosa molto buona.

Il responsabile della zona potrebbe essere un domani, azzardo, perfino un diacono, uno di voi, uomini spo­sati, che avete dato e date buona testimonianza della vostra fede, ordinati diaconi re­sponsabili con il par­roco e "sotto" di lui in queste piccole comunità di quartiere.

E voi potreste dire: abbiamo rinnovato la faccia della comunità.

Per cui se voi mi dite: è' una strada giusta?, io vi dico: "Sì è una strada giusta, va per­corsa con fiducia, con costanza, con coerenza, con pa­zienza e va fatta poi umilmente e fraterna­mente conoscere ad altre realtà parrocchiali".

Naturalmente questo può vivacizzare una realtà e colle­gare con il centro della comunità le persone che altrimenti non sarebbero collegate

 

2.3.   I giovani

 

Io vedo così la questione dei giovani.

La vedo simpa­tica, molto ro­sea, molto bella, soprattutto perché a me pare che il Signore abbia fatto un cammino con voi e vi abbia purificati.

Il passaggio da 70 giovani iniziali a 15 è stato un po' deludente, ma adesso avete anche due nuovi gruppi: uno formato da una qua­rantina di giovani e un gruppo del dopo cresima, e avete la possibilità attraverso l'oratorio di lanciare un ponte anche verso altri. Io credo che siano una grossa speranza per Campolongo an­che perché offrono una possibilità di aggancio per altri giovani.

Domando a Don Carlo, domando alle due nostre suore sa­lesiane: cu­rate molto,  molto, la formazione de­gli animatori, perché al­trimenti i giovani che verranno:

-  saranno dei giovani che parteci­pano con grande entusia­smo ad una festa, ma finita la festa ...;

- sa­ranno dei giovani che si infiammano per qualche grest, cosa buona e da fare, però dopo tornano...;

- saranno dei giovani che vi­vono le fiammate ma non avranno un fuoco che li consuma e li fa ardere per essere domani formatori e animatori per altri.

Quindi, moltiplicate gli incontri di preghiera, di ri­flessione, di ri­tiro e di esercizi spirituali per gli animatori.

Il problema grosso è proprio questo, di avere degli animatori che non siano soltanto degli entusiasti tra­scinatori ma che abbiano dentro qualcosa da dare, anche perché oggi c'è uno stacco  abba­stanza evi­dente nei giovani.

Non so se voi lo sentite.

I giovani si entusiasmano anche per Cristo uomo nuovo,  accettano anche la fede, ma tra la fede e il loro com­portamento c'è un diva­rio, uno scollamento.

Quando os­servate questo voi direte: come mai, entusiasti come sono, non si differenziano dagli altri nell'ambiente scolastico o nell'ambiente del divertimento o nel tempo libero o nella loro stessa crescita affettiva, nella loro capacità di prepa­rarsi all'amore, al matrimonio.

Io ho l'impressione netta che i giovani sono molto con­tenti, fanno tante cose, ma non vogliono essere toccati su alcuni punti.

Queste cose accadono e allora la formazione dei giovani deve es­sere anche molto esigente. Se si esige veramente si dà una spina dorsale a questi giovani.

 

2.4.   L’oratorio

 

Il discorso dell'oratorio a me pare provvidenziale.

Bisogna che scateniate la fantasia nel trovare alcune occasioni di accostamento degli altri. L'oratorio diventa un ambito più vasto dove entreranno dei giovani che probabilmente ancora non sono piena­mente inseriti nella vita liturgica e pastorale. Bisognerà piano piano educarli a scoprire dei valori più alti che forse per loro sono offuscati  o neanche ap­parsi all'orizzonte. Quindi non confondiamo l’attività… fatta per  gli animatori dei giovani con quello che è l’attività dell'oratorio.

Non dobbiamo però dimenticare che nella misura in cui tutte le compo­nenti della comunità  si interesseranno all'attività dell'oratorio, si troveranno le formule nuove e si avranno anche le persone preparate a portarle avanti.

In questo modo domani si potrà arri­vare a una vera e propria accoglienza della fede e a una comunità che accoglie questi giovani nel suo interno.                                                        

 

2.5.  La catechesi

 

Ho visto che qualcuno si è stupito quando  si  è detto che  la ca­techesi è fatta  in gran parte da donne e che la loro età media è di trent'anni.

Trent'anni! Io sono compiaciuto, perché vuol dire che sono giovani.                                                           

Per i catechisti domanderei due attenzioni:

- I catechisti non sono catechisti in eterno; occorre pensare sempre ad un ricambio di catechisti, perché solo le perpetue sono perpetue ma neppure loro vivono in eterno.

- Bisogna pensare alla preparazione.

La scuola foraniale di formazione teologica di base domanda poi una specializzazione, una attualizza­zione dell'insegnamento in rap­porto all'ufficio che uno ha nella comunità, per cui chiaramente oc­corre che essa sia integrata o in sede foraniale o in sede parroc­chiale, da una scuola o da un'iniziativa permanente di formazione dei catechisti.