ritiro di Quaresima 2006

a cura di don Carlo Salvador

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L’obbedienza nella vita cristiana

 

1   Premesse.

 

Una riflessione sull’obbedienza tiene conto della cultura in cui viviamo. Tre eventi hanno influito sull’obbedienza. Sono accaduti nel passato ma i loro effetti permangono ancora.

 

o        Il mito dell’autorità.

L’obbedienza è stata vissuta in passato come sottomissione perché si affermasse il bene comune o il successo della realtà cui si apparteneva. Ad esempio, la famiglia, la nazione e la Chiesa. Si riteneva che l’autorità era costituita da Dio e agiva in suo nome.

Essa è andata in crisi con il consumarsi della tragedia del nazismo, del fascismo e del socialismo e nella Chiesa con la riforma protestante e la controriforma cattolica.

E’ subentrato un tormentato cambiamento di mentalità. In Italia Don Lorenzo Milani scrisse e difese l’affermazione: “L’obbedienza non è più una virtù”. Egli ha interpretato in modo egregio la reazione delle coscienze al mito dell’autorità.

 

o        Il mito dello spontaneità.

Il sistema liberale mette al centro della società la proprietà privata, l’iniziativa privata e le leggi del mercato. La cultura liberale ritiene che, lasciando agire le persone secondo la spontaneità del proprio sentire, tutto finisce per sistemarsi nel modo migliore.

Una delle conclusioni drammatiche del libro “Siddarta” di Hesse, un romanzo degli anni trenta che è anche un catechismo indù, è la rinuncia all’esercizio della paternità.

Il padre rinuncia sia a comandare sia a consigliare. La società liberale lascia spazio alla cultura radicale, che rivendica la libertà in tutti i campi della vita.

Nascono movimenti che promuovono rovesciamenti sia nella società sia nella Chiesa.

Si rinuncia ai grandi ideali, perché ogni persona possa costruirsi il proprio destino in autonomia, secondo quello che pensa. Si rivendica il diritto di farsi da sé, anche sbagliando, al di fuori dei modelli del passato o ritenuti naturali. Nascono forme nuove di convivenza. Si abbandonano le figure autorevoli degli adulti, come i genitori, i sacerdoti e gli educatori. Ad esse subentrano le tecniche dell’educazione.

 

o        Il mito del peccato originale.

 

La concezione del peccato che si è imposta per secoli snatura la relazione fra Dio e l’uomo. Si riteneva che la relazione era segnata, fin dalle origini, da uno spirito di gelosia e di indipendenza. Il serpente suscita il dubbio ad Eva dicendo: Sapeva in realtà Dio che nel giorno in cui ne mangiaste si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscendo il bene e il male (Gen 3,4). All’inizio ci sarebbe un dio geloso di sé.

L’uomo si sarebbe ribellato al divieto e Dio lo avrebbe punito allontanandolo dal giardino. Ci si fermava alla lettura letterale del testo biblico, senza confrontarlo con gli eventi successivi della storia della salvezza. Di conseguenza, la dinamica della relazione tra Dio e l’uomo sarebbe data dall’obbedienza e dalla disobbedienza.

Anche le grandi spiritualità risentono di questa idea. S. Benedetto, nel prologo della Regola, insegna che siamo chiamati a percorrere nell’obbedienza il cammino che abbiamo percorso nella disobbedienza, per poter con la fatica dell’obbedienza tornare al Dio da cui ci siamo allontanati con la disobbedienza. In realtà la relazione tra Dio e l’uomo è fondata sull’amore vicendevole, come l’amore paterno e materno. Dio non è geloso dell’uomo ma lo crea a sua immagine per farlo partecipe della sua vita divina.

L’uomo non ha motivo di essere geloso di Dio che è il suo bene. Tra Dio e l’uomo c’è dipendenza reciproca, quella dell’amore vicendevole. Il peccato originale era mitizzato, pensato con caratteristiche che non aveva, con incidenze forti nella vita cristiana.

 

 

2   L’obbedienza nella storia della salvezza.

 

Meditiamo gli eventi decisivi della relazione tra Dio e l’umanità.

 

2.1      L’obbedienza di Abramo e di Israele.

 

o        Abramo è l’uomo della fede.

 

La sua vita è interpreta­ta dalla Lettera agli Ebrei. Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì parten­do per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava (Eb 11,8). Abramo è modello di chi attende da Dio una eredità e cammina senza preoccuparsi dove và, fidandosi della sua parola. La fede muove l’obbedienza.

Alla fine della sua vita matura l’obbedienza radicale.

Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato (Gen 22,1-3).

Il sacrifico dell’unico figlio, quello che amava con tutto se stesso, manifesta che la fiducia di Abramo in Dio è fondata su una grande attesa, quella dell’amore. Chi ama dona e attende la risposta. La totalità del suo sì è segno del sì del Padre che consegnerà Gesù, la sua vita, all’umanità. Dio genera in Abramo un amore come il suo, amandolo per primo.

Dal capitolo terzo all'undicesimo della Genesi assistiamo al dilaga­re del peccato.

Esso culmina nella costruzione della torre di Babele in cui l’umanità, nel suo insieme, rinnova la sfida di Adamo ed Eva.

Poi dissero: Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra (Gen 11,4). Gli uomini si uniscono per opporsi insieme all’ordine di Dio che aveva detto: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempi­te la terra (Gen 1,28).

L’umanità è chiamata non a costruire una città contrapposta al cielo ma a riempire la terra disperdendosi in essa per farla vivere in collaborazione con Dio. Ad esempio, la coppia non chiusa ma feconda. Dio confonde la lingua di tutta la terra, perché non venga compromesso il suo disegno di amore (cf. Gen 11,9).

La quaresima ci invita a vivere la dispersione per essere lievito nel mondo.

E a partire dal capitolo dodici inizia il recu­pero. Dio trae l'uomo da questo caos iniziale, alleandosi con Abramo, uomo vecchio e sposato a una donna sterile, e chiamandolo a superare il pec­cato vivendo l’amore grande e la fede forte che si manifestano nell’obbedienza totale. Da allora la salvezza viene offerta a chi vive della fede di Abramo, seguendo la via che egli ha aperto, condotto per mano da Dio. L’obbedienza è una virtù quando l’amore di Dio chiama e la fede dell’uomo risponde. Essa ha senso solo in una relazione di amore.

 

o        Israele è il popolo dei discendenti di Abramo.

 

La ragione d’essere di Israele sta nell'alleanza con Dio. Essa è espressa nella professione di fede, che recita: Ascolta,Israele! Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; e amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e tutta la tua anima e tutta la tua capacità (Dt 6,4-5).

”Ascolta Israele” vuol dire anche “Obbedisci Israele!” (cf. Dt 5,1; 6,3.4; 9,1; 20,3; 27,9).

Dio è l’unico signore quando ci si lega a lui con intera l’esistenza. Israele è il popolo che Dio libera perché gli appartiene e il popolo impara a servirlo obbedendo alla Legge, perché è liberato da Dio. Quando vive in esilio Israele è angosciata perché non può servire il Signore come lui vorrebbe.

Ora invece, Signore, noi siamo diventati più picco­li di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovare mise­ricordia (Dn 3,37-38). Israele è eletto, come Abramo, e come lui viene disperso nella terra, perché l’umanità ritorni a Dio. L’obbedienza è la strada dell’alleanza, e per questo il popolo si conforma a Dio “con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt 6,5). Nell’obbedire Israele riceve da Dio la salvezza e la vita e raggiunge la massima beatitudine: Beati noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato (Bar 4,4).

Il rapporto fra Dio e Israele è descritto con due immagini: il legame sponsale e il legame del padre con il bambino. Tutte due sono molto belle; l’ultima è sorprendente. Apri la tua bocca, la voglio riempire”, recita il salmo 81,11.

Dio imbocca Israele come un padre il proprio figlio. Il popolo vive perché è nutrito da Dio.

Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Efraim insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da man­giare (Os 11,1-4).

La spiritualità espressa dall'immagine spon­sale ha il suo vertice nel Cantico dei cantici.

La spiritualità espressa dall’immagine paterna ha il suo ver­tice nel salmo 131.

Israele si descrive come un bambino svezzato che riposa sereno in braccio alla madre. Sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sem­pre (Sal 131).

È l'abbandono totale all’amore Dio in cui risiede la vita e la salvezza.

Israele però non riesce a vivere nell’obbedienza piena a Dio, come aveva fatto Abramo.

La sua storia con Dio è segnata da momenti di fedeltà ma anche da momenti di ribellione.

Essa recalcitra e l’infedeltà la porta all’esilio di Babilonia. Matura così l’attesa del Messia come  di colui che avrebbe portato il popolo ad essere fedele fino in fondo all’alleanza con Dio.

Il salmo 137 esprime la nostalgia provata dagli esuli. Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Come cantare i canti del Signore in terra straniera?

Gli esuli non dimenticano Gerusalemme ma la mettono al di sopra di ogni loro gioia.

Il tempo della nostalgia affretta il ritorno di Dio, perché Israele desidera la fedeltà che non riesce ancora a vivere. L’obbedienza come la riconciliazione è possibile solo dove c’è l’amore.

 

 

2.2  L'obbedienza di Cristo e della Chiesa.

 

o        Gesù è l'Israele diventato maturo e fedele.

 

Il NT annuncia l’obbedienza fiduciosa e totale di Gesù al Padre, come Abramo.

Gesù si lascia amare ed ama. L’obbedienza fiorisce dall’amore ed è necessaria all’amore. Egli ha detto: “Mio cibo è che io faccia la volontà di colui che mi ha mandato e compia la sua opera” (Gv 4,34). Il cibo rimanda a un bisogno primario e a una cosa che costituisce.

Ha detto ancora: “Chi fa la volontà di Dio, questi è mio fratello e sorella e madre” (Mc 3,35). La volontà di Dio costituisce nell’unità, forma l’unica famiglia di Dio. “Il Figlio di Dio non fu sì e no ma in lui vi fu solo il sì. Tutte le promesse di Dio in lui sono diventare sì (2Cor 1,19-20).

Il Padre compie le promesse nell’obbedienza di Gesù, che è la vite che porta molto frutto.

Il NT interpreta la vita di Gesù. E’ una lettura ispirata da Dio.

q       Rm 5,19 interpreta a livello profondo il Cristo e la sua opera. Come per la disobbedienza

 di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti (Rm 5,19). L’albero della conoscenza del bene e del male indicava che per avere la vita era necessaria l’obbedienza, quella richiesta dalle relazioni di amore.

q       La lettera ai Filippesi dice che Cristo essendo di natura divina abbassò se stesso essendo divenuto obbediente fino alla morte di croce e che per questo Dio l'ha esaltato (Fil 2,6.8-9).

Occorre l’abbassamento perché avvenga l’innalzamento, occorre perdere la vita per trovarla.

q       La Lettera agli Ebrei interpreta la vita di Cristo nella chiave dell’obbedienza.

È impossibile che il sangue di tori e di capri tolga il peccato. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto vittime e offerta ma mi hai preparato un corpo. Non hai gradito olocausti e offerte per il peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo - nel rotolo del libro è scritto di me - per fare, o Dio, la tua volontà (Eb 10,4-7).

L’incarnazione esprime l’obbedienza del Figlio, l’obbedienza generosa di chi ama e vede il desiderio del Padre e la nostalgia dell’umanità e risponde con l’urgenza dell’amore.

q    La croce è espressione del supremo amore del Padre.

Egli “ha tanto amato il mondo che ha dato suo Figlio unigenito, affinché ogni credente in lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Il Cristo abbraccia la croce di sua volontà, dopo averlo predetto ripetutamente. L’amore del Padre diventa l’amore del Cristo stesso: Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà (Mt 26,42). Gesù si identifica con il Padre attraverso l’obbedienza.

La croce esprime l’obbedienza di Cristo. Cristo obbedisce sia morendo sia risorgendo.

Per questo il Padre mi ama: perché io pongo la mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno la prende a me, ma la pongo da me stesso. Ho pote­re di porla e potere di prenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio (Gv 10,17-18). Cristo guarda il Padre per sapere qual è il momento in cui deve fare una cosa e come deve farla.

La conclusione della passione è esemplare.

Gesù, sapendo che tutte le cose erano state ormai adempiute, dice per adempiere la Scrittura: “Ho sete” (Gv 19,28). Dopo aver obbedito pienamente, per obbedire anche a quel dettaglio della Scrittura che dice “mi hanno dato da bere aceto”, dice di aver sete perché gli diano l’aceto. L'obbedienza era stata perfetta, mancava solo un detta­glio.

E quando ebbe com­piuto questa ultima sottomissione disse: “è compiuto!” (cf. Gv 19,30).

Gesù assume la fonte più pura del patrimonio di Israele, la Scrittura, e vi si sottomette.

Non si sottomette agli uomini, che lo sottomettono con la violenza.

o        La Chiesa continua la fedeltà di Cristo.

 

L’apostolo Paolo che scrive che le sofferenze di Cristo abbondano in noi (cf. 2Cor 1-5) e che egli completava nel suo corpo ciò che manca ai patimenti di Cristo (cf. Col 1,24).

L’iniziazione cristiana fa della Chiesa un popolo sacerdotale che offre a Dio la propria obbedienza, perché si sente amata da lui e lo ama con tutta se stessa.

 

 

3  Alla luce della nostra cultura e della parola di Dio

qual è il posto dell’obbedienza nella vita cristiana? 

 

Apriamo alcune piste di riflessione.

 

§         Verifichiamo la nostra cultura religiosa.

 

L’obbedienza ha valore in una relazione di amore?

 

·         L’autorità, come viene esercitata nel nostro tempo, va demitizzata.

Dio non è un signore che comanda a degli uomini che sono suoi schiavi, né mette divieti o comandi all’uomo per impedirgli di essere come lui, ma lo educa ad essere come lui.

Dio è amore gratuito e incondizionato e riconosce solo l’amore gratuito e incondizionato.

Dio non delega nessuno ad esercitare in suo nome l’autorità come lui non la esercita.

Non si può uccidere l’uomo, la sua libertà e il suo diritto a crescere, nel nome di Dio.

 

·         La vita non è affidata alla spontaneità e all’autonomia. Non esiste un diritto di vivere come si vuole. Siamo dall’amore e per l’amore. L’amore valorizza differenze, carismi, integrazioni e non esaspera: Convivenze, divorzi, aborti, gli ismi sono perdite di vita, non affermazioni.

 

·         La verità è data dalla sapienza di Dio che supera la sapienza dell’uomo.

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza per una relazione con lui che sia come quella dell’uomo con la donna o dei genitori con i figli: un’appartenenza totale.

L’obbedienza è espressione dell’appartenenza che ci lega a Dio, all’umanità e al creato.

La dipendenza è frutto dell’amore vicendevole, il modo in cui esso si realizza.

Allo stesso modo la sofferenza, la morte, la sconfitta, la confessione e ogni altra espressione della vita hanno valore solo entro le relazioni di amore.

 

·     Gesù dice a Pilato: Non avresti nessun potere contro di me se non ti fosse stato dato dall’alto (Gv 19,11). L’uomo, come Pilato, ha solo l’autorità di fare quello che vuole Dio, perché egli è fonte dell’amore e sposo dell’umanità. Pilato pecca perché non interpreta Dio davanti a Gesù. I Giudei peccano gravemente perché Dio stesso aveva accreditato Gesù. 

·      Pietro e gli Apostoli, rimproverati davanti al Sinedrio perché avevano disobbedito all’ordine di non parlare nel nome di Gesù, rispondono al sommo sacerdote: Bisogna obbedire a Dio piuttosto che a uomini. Affermano l’obbedienza ma dicono dove e come deve essere, per essere una virtù morale. Possiamo dire dell’obbedienza quello che diciamo della moralità.

Al primo posto c’è la volontà di Dio espressa dalla sua parola. Essa ha un valore eterno perché crea la vita e la costituisce. Ciò che contraddice la vita la depaupera e ne compromette la crescita. La parola di Dio è affidata allo Spirito perché conduca gli uomini alla verità. La vita infatti è amore e lo Spirito è l’amore di Dio e l’amore dell’uomo in Cristo.

Al secondo posto viene il Magistero. Esso non crea la parola di Dio ma la interpreta autenticamente nel nostro tempo guidato dalla chiamata e dallo Spirito che opera in esso.

Al terzo posto viene la coscienza della persona fatta a immagine di Dio.

Anch’essa agisce secondo lo Spirito che abita il cristiano nei sacramenti dell’iniziazione.

In queste condizioni l’obbedienza è la virtù portante della vita cristiana.

 

§         Applichiamo l’idea cristiana di obbedienza alla vita.

 

Obbedienza familiare: degli sposi, dei genitori e dei figli.

Obbedienza sociale: c’è un rapporto vitale fra singoli, gruppi e comunità civile.

Obbedienza religiosa: modo sacramentale di rapporto in famiglia, società e Chiesa.

Sotto l’egida dell’amore vicendevole vivono insieme l’autorità e la libertà, le differenze e l’unità. Esse non si contraddicono né si ostacolano ma si stimolano e completano.

 

 

 

 

 

Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo di Conegliano (TV)