Parrocchia di Campolongo in Conegliano

 

 

Cristiani che ricominciano

 

a cura di don Carlo Salvador

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Cristiani che ricominciano                                           

Come una cerva anela ai corsi d’acqua                                                                                       a cura di don Carlo    [ 1 ]

 (da Annuncio del 19/10/14)

Il profeta Isaia recita il suo salmo lungo la distesa dei giorni: di notte anela a te l’anima mia, al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca. Come levita del tempio contemplo il mio esodo nella pace inquieta del crepuscolo, quando la notte cede al mattino o, al tramonto, le tenebre rincorrono l’ultima luce. La terra scompare ai miei occhi e le paure che mi ero inventate dipanano nelle nebbie del tempo ma la nuova terra è ancora promessa e da scoprire e da abitare: per me è sempre tempo di nuove partenze. Le stagioni giocano a nascondino e una lampada riscalda la mia attesa ad ogni sole che sorge o ad ogni giorno che declina. Un brivido mi percorre mentre il mio Signore ricomincia a modellarmi come il vasaio la sua creta. Ecco germoglia una cosa nuova, non ve ne accorgete? Ogni giorno con Dio è un glorioso migrare. La giovane madre depone l’Unigenito nella mangiatoia vuota e, mentre lui muore, sta gravida di figli davanti alla croce. E i figli crescono e rincorrono i secoli e popolano il regno. Tutto è sorpresa e attesa di compimento. Maestri improvvisati dipingono la pastorale di nuovi colori con incontri, ritiri e aggiornamenti: moderna internet che sforna proposte per tutti i gusti, pane masticato da altri che non nutre. Quando bambino sedevo in una lunga fila sul muretto dell’asilo mandavo a memoria la “dottrina” che suor Eufrasia declamava come in una recita. Ma la vita cristiana me la regalava mia mamma che mi raccontava le storie della bibbia, anche quelle allora proibite, e mi accompagnava la domenica alla Messa, quando ancora il sentiero dormiva, e recitava con me le preghiere della sera. La sua compagnia ora mi manca. Intanto lo Spirito  intercede in me con gemiti inesprimibili secondo i desideri di Dio. Il ritmo delle attività non mi rende significativo se viene meno il cuore contemplati-vo, che vede il volto di Dio e i semi che germogliano. Quando impariamo la compassione verso tutti fiorisce la vita fraterna e la comunità cristiana diventa la mia dimora. Mi manca il silenzio di Dio e l’ascolto di lui qui e ora. Odo i bramiti della cerva che anela ai corsi d’acqua, intuizioni delicate mi sorprendono e provo nostalgia di ciò che non sono. Ciò che più conta muove indifeso il mio intimo. E anch’io anelo all’acqua che scorre e  disseta.

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Cristiani che ricominciano

Amicizia                                                                        a cura di don Carlo [ 2 ]

 (da Annuncio del 26/10/14)

                                                                       

Mi affascina l’amicizia di Gesù come la rivela il discepolo che egli amava: vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Gesù respira la tenerezza del Padre che si espande su tutte le creature e profuma tutta la sua persona. Gli corrisponde la sua tenerezza divina e umana che Dio ancora non conosceva. E i due sono una cosa sola.

Gesù partecipa ai discepoli l’intimità che condivide con il Padre e essi la accolgono nei loro giorni. Allora l’amico posa il capo sul cuore turbato di Gesù ed egli condivide l’amaro dell’amicizia tradita. La peccatrice attraversa i convitati senza immaginare sguardi gelosi o ostili, sta dietro a Gesù e

bagna di lacrime i suoi piedi e li asciuga con i suoi capelli e non cessa di baciarli e li cosparge di profumo: amore grande che libera l’amore grande dell’amico che perdona e salva. Maria, seduta ai piedi del Signore, ascolta la sua parola, lascia la sorella sola a servire e si commuove intorno all’amico.

Un maestro d’Israele va da Gesù di notte, tempo di pedinamenti che si interrompono e di segreti che si svelano, tempo per nascere dall’alto guardando all’amore innalzato tra la terra e il cielo. Gesù a mezzogiorno siede affaticato e solo ai margini del pozzo e chiede alla samaritana di dargli da bere nel desiderio di sentirsi chiedere da lei l’acqua viva che spegne ogni sete. E lei, vedova di sei mariti, davanti al profeta sostiene un dialogo perdente mentre lui le offre tenerezze divine. A Betania Gesù si commuove profondamente con due sorelle in pianto davanti al sepolcro della persona che amano e insieme la richiamano alla vita. Maria a una cena preparata per Gesù dai suoi amici gli bacia i piedi e li cosparge con nardo prezioso ed esso profuma il Signore, i commensali e tutta la casa. Gesù affida all’amico la madre vedova di un figlio unico crocifisso e l’amico la prende con sé come

madre sua. Maria sosta in pianto davanti al sepolcro del suo signore e l’amico le si rivela risorto evocando i nomi con cui giocavano insieme. E la prega di non trattenerlo nell’abbraccio che ora riserva al Padre e la manda a raccontare la loro amicizia ai fratelli. Amicizie umane e divine affascinanti, amicizie da continuare nel tempo che attende la venuta di Gesù. Ora l’amico sta davanti al Padre e prepara anche per noi la tenerezza piena di giorni.

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Cristiani che ricominciano                                            

Un cantico                                                                                                                                         a cura di don Carlo    [ 3 ]

(da (Annuncio del 02/11/14)

 

Il tempo scandisce l’amore reciproco di un amato e di un’amata che si raggiungono e si perdono, si cercano e si trovano. Amica e amico anelano all’abbraccio e percorrono la città e domandano alle guardie che fanno la ronda se hanno visto l’amico/a del loro cuore. L’amicizia di Gesù affascina i cuori, intensa e disarmata come l’amore degli sposi novelli o delle mamme con i loro bambini. Il suo Spirito non conosce gelosie e purifica i cuori nel crogiolo del tempo e chiama all’amicizia sposati e consacrati e ancora celibi, giusti e peccatori. Un fremito attraversa l’anima: dove sono i poeti che staccano le cetre dai salici del tempo e cantano l’amicizia in terra straniera?

Penso a un ruscello delle mie colline che scorre a valle ai margini dei vigneti e riposa all’ombra del bosco e consola le piante e gli uccelli nella loro sete. La sua acqua scorre limpida, cullata da due sponde. La prima contiene l’amicizia dall’amore sponsale che fa di due un solo corpo e libera gli affetti dai rivoli che si smarriscono in cisterne screpolate. L’altra è antica come le dieci parole dell’alleanza ed ora si fa tutta nuova nell’incontro con Gesù: non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo e tempio dello Spirito santo che è in voi? Il Signore sottrae il corpo al piacere che inebria per un momento e poi lascia confusi e lo esalta in una liturgia d’amore umano e divino. Il corpo della Sposa non è abitato per il celibato ma per la vita feconda che genera creature nuove al paradiso. Dio guarda con me l’acqua che scorre limpida cullata tra le due sponde e vede che è molto bella. Pietro, Il primo papa, incoraggia ad amare intensamente di vero cuore e l’ultimo, Francesco, si spoglia delle vesti per incontrare con noi le persone e le fedi ancora impedite da vecchi steccati. A santa Marta mi ha esortato a perseverare senza timori nel mettere il dito, come Tommaso, nelle ferite del Risorto che vive tra noi, mi ha attirato a sé e mi ha detto: preghi per me. Abbiamo bisogno che il Signore ci liberi dalla prigione costruita dalle gerarchie del passato. La Chiesa nell’eucaristia ha celebrato per lungo tempo il bacio santo dei fedeli e poi lo ha coperto con falsi pudori. Il sacramento dell’amicizia esalta l’umano e apre spazi nuovi alla libertà e alla fecondità della vita. E i poeti continuano a cantare il cantico dell’amore.

 

 

 

Cristiani che ricominciano                                                                                                                           

 La mia donna                                                                                                                                a cura di don Carlo    [ 4 ]

(da Annuncio del 23/11/14)

 

Il giornalista racconta i passi della donna incinta che si alza e va in fretta verso la regione montuosa dove si svela il mistero adombrato in lei, serva umile e obbediente. Grandi cose scandiscono le ore brevi della vita e rivestono nudità preparate dal padre di tutti alla sua tenerezza: una grotta come stanza nuziale, una mangiatoia come culla, i parti di un gregge come cibo, due legni a sostegno del figlio morente e un sepolcro in prestito per il terzo giorno. Donna della casa da riordinare, della mensa che profuma del pane preso a giornata, della tunica intessuta di amore per custodire intimità, della preghiera che culla menti e cuori di una famiglia che non appare tale neppure a lei, sposa di un uomo che non conosce e madre di un figlio occupato dal padre suo che abita i cieli. Pellegrina, porta Gesù a nascere da Davide e appena dopo lascia la terra che uccide i bambini per abitare da extracomunitaria il paese un tempo abbandonato dai  padri. Donna dalla fede nuda che Abramo affida alle premure di Dio, badante di una sorella sterile e incinta, nella casa in cui le madri sciolgono il mistero e i bimbi si riconoscono e giocano insieme prima di nascere. Il poeta della fede sposa alla Donna il popolo della promessa e la sposa cerca il vino per la festa e la Chiesa sale il calvario portando ovuli vergini per nuove vite. La mia donna del quotidiano e del mistero, icona del regno di Dio che viene senza farsi vedere, ora è oscurata da tradizioni postume che ignorano la parola che lei custodisce nel cuore e la invocano con litanie di titoli, in santuari che la separano dal figlio che cresce nel regno in mezzo a noi. Eccola qui!, gridano a tutti, o eccola là, in spazi che lei non abita e lontana dal mistero che continua a svelarsi in lei. I devoti le ripetono di intercedere per i peccatori e i morenti, mentre lei ama magnificare il Signore per le cose grandi che compie in ogni vita. La mia gente a Campolongo lamenta che non la rincorro regina insieme a loro, mentre lei da trent’anni mi appare nel trittico della nostra parrocchiale. E non la vedo mai sola o in attesa delle mie devozioni: ha sempre il libro della parola da aprire, l’angelo da accogliere e il figlio crocifisso cui badare. La mia donna è bella così.

 

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Cristiani che ricominciano                                            

Una festa di nozze per il figlio                                                                               a cura di don Carlo    [ 5 ]

 .(da Annuncio del 07/12/14)

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Erano belli i matrimoni della mia infanzia, quelli  delle mie due sorelle. Mesi prima le donne imbastivano il pranzo allevando gli animali giusti e gli uomini conservavano il vino buono nel caretel che bastava. Nei filò, riscaldati dal bestiame della stalla, le donne sferruzzavano e gli uomini, tra una partita a mora e una a carte, riassettavano gli arnesi e intanto cresceva l’elenco degli invitati. Non erano gli amici degli sposi ma i parenti stretti dei genitori, parenti che a volte proprio stretti non erano. Poi ci pensavano i morosi a rimediare andando ad invitarli di persona con il sorriso del loro amore. I giorni della festa erano proprio speciali: gli abiti fatti per una volta nella vita, gli archi di ingresso alla casa della sposa, il cortile o la stanza grande a ospitare tovaglie e stoviglie tenute buone per l’occasione e alcune venute in prestito dalle comari. Per il pranzo ufficiale c’era la casa della sposa mentre dallo sposo si andava a cena, per consegnare la sorella alla nuova famiglia e al letto riservato al loro amore. Ora è tutt’altra cosa. I morosi vanno a convivere senza salutare i loro cari e così possono ritornare senza chiedere permesso. Magari più tardi si sposano ma la minestra riscaldata è buona per l’inverno dei cuori: vuoi mettere la primavera, quando i boccioli fioriscono sfidando il futuro? Noi umani chiediamo a Dio di benedire i nostri fatti compiuti mentre lui desidera sposare l’amore umano a quello del suo Cristo: speriamo che il  suo desiderio sia custodito dagli angeli nel cielo. Il morosar non è più assistito e davanti agli imprevisti il piovan non sposa alle cinque del mattino senza l’abito bianco e anche il vescovo dice che non sono cose da tenere di conto. A me resta la nostalgia dei matrimoni fatti a mano e del banchetto dove nonni e padri e figli e zii e nipotini convengono per la festa. Somiglia alla mensa che il padre di tutti prepara ogni domenica nella casa della sposa, primizia di quella tenuta in riserva per il sacramento dell’eternità. Si dice che è tempo di crisi e che in compenso sposarsi costa poco o niente e che non c’è che da aspettare che la crisi passi. Ma passerà quando a dare la festa è il padre dei cieli e al centro siede lo sposo divino e l’abito bianco lo vestono tutti i commensali e le giare sono ancora piene del vino buono. Allora sì sarà tutt’altra cosa.

 

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Cristiani che ricominciano    

Padre nostro che sei nei cieli                                  a cura di don Carlo    [ 6 ]

 (da Annuncio del 21/12/14)

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Vorrei chiedere a Gesù di insegnarmi a pregare, perché le parole del padre nostro sono belle e piene di senso ma non mi vengono dal cuore. Gesù ha pregato con grosse varianti nel presepe, alla cena di addio e sulla croce, quando si faceva buio su tutta la terra e non vedeva il volto del padre: era un’impresa chiamarlo padre nostro mentre i suoi fratelli lo inchiodavano alla croce e anche i suoi amici si imboscavano. Chissà come lo prega ora che lo vede con occhi risorti. Forse mancava anche a lui come a me il volto terreno del padre: il non vedere mai il padre che porti impastato alla tua carne. E poi ci sono i figli che vedono il padre separato dalla madre e a giorni alterni, segnati su un calendario che non conosce il bisogno di fare l’amore. Forse occorre diventare come bambini che dicono pa…pa e commuovono chi li ascolta anche se non sanno ancora com’è un padre. Un giorno a Oslo passeggiavo nel parco dove le sculture di Vigeland sfidano il sole e la pioggia e il tempo, quando ho visto emergere da un blocco di pietra un giovane e una donna matura, seduti l’uno davanti all’altra e il loro sguardo che interrogava l’orizzonte. Da allora sogno una maternità che non si interrompe quando ci si mette in proprio a fare papà e mamma. Siamo simili al Padre ma noi sulla terra lo incontriamo nelle versioni maschile e femminile e spesso ci tocca parteggiare per l’uno o per l’altra e ci manca sempre qualcosa. La madre mostra il figlio nella carrozzina comprata nuova e sente rivolti a sé i complimenti donati al bambino. Natale è il giorno del Padre che introduce il suo unigenito nel mondo e lo mostra ai pastori e ai magi e a noi, sorpresi come loro. Forse i cieli non sono in alto tra le nubi ma in una grotta a rispecchiarsi nella mangiatoia che aspetta vuota e infreddolita il ritorno dell’asino e del bue che non trovavano niente da ruminare. I cieli sorridono nella mamma che allatta al suo seno e nel padre che tiene sulle ginocchia la sua ragazza ormai cresciuta e le pettina i capelli con le sue mani come quand’era bambina. Il padre nostro lo imparava il figlio in principio, quando faceva da modella a Dio mentre distendeva i cieli che l’amato avrebbe abitato da grande con lui e con la sposa. Ora anch’io lo imparo con lei, a mano a mano che con lo sposo mette su famiglia, quella divina.

 

 

 

 

 

 

Cristiani che ricominciano    

i cuori feriti                                                                    a cura di don Carlo    [ 7 ]

 (da Annuncio del 24/05/15)

 

 

Era un mattino sereno e l’inverno andava a dormire e lasciava il posto alla primavera che si alzava timida all’orizzonte. Un contadino chino su una vite la incideva con un coltellino, modellava un virgulto gemmato e lo inseriva nella ferita costringendo l’innesto in una culla di sabbia con una striscia di rafia. E la linfa alimentava l’innesto, mentre la vite lacrimava e il contadino in cuor suo sorrideva al domani. L’aurora di ogni vita incrocia la sofferenza. Lo sa la donna che partorisce e il contadino che aiuta a nascere il vitellino. E noi bambini eravamo tenuti all’oscuro dei parti ma chiamati appena dopo a sorridere alla loro vita. Gesù diceva ai suoi amici: Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore che pota ogni tralcio che porta frutto perché porti più frutto. La vite innestata dal contadino era provvisoria, Gesù è vite vera e noi i suoi tralci. L’agricoltore non guarda al ramo rigoglioso ma a quello da cui attende frutti abbondanti. Dio fa così fin dal principio. Un giorno manifesta al figlio la sua idea fissa: creare un universo senza confini e sazio di forme e, a seguire, spargere vita divina in tutte le sue creature. Il Figlio gli sorrise e disse: “Bello! Eccomi, manda me”. La vita di Gesù sulla terra era bella davvero anche se, quando cercava il profumo di una rosa, ritirava la mano ferita dalle sue spine. La vita sulla terra sorprende tutti assai. Gesù fu un figlio umile fino a portare la croce, e a lui, appena assopito nel sonno della morte, una lancia aprì il cuore e Dio con il sangue e l’acqua della ferita gli plasma una sposa molto bella. Aveva fatto le prove con Adamo che si era addormentato nel giardino: gli aprì il petto e con una costola creò per lui la donna, carne della sua carne e ossa delle sue ossa. E Adamo si svegliò e vide il mondo con altri occhi e sussultò di gioia, dimentico della ferita. L’amore è grande per le sue sorprese: quando la tempesta e il vento strapazzano il vigneto il contadino raccoglie il poco che rimane come una ricchezza. L’amicizia nasce da due cuori feriti e diventa altra attingendo al perdono e preserva dalle brinate future e dall’abitudine che rende opache anche le cose belle. La misura dell’amore è senza misura. Il mio corpo è dato per voi, dice Gesù: appena sarà crocefisso e avrà conosciuto il sepol-cro: sarà corpo di sposo per la sposa e alleanza piena e duratura e feconda.

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Cristiani che ricominciano                                            

I baci non dati                                                             a cura di don Carlo    [ 8 ]

 

 Maria viene da Màgdala a piangere il suo signore e lui le riserva il vuoto del sepolcro; cerca l’amato nel giardino mentre lui passeggia nel paradiso. Evocano un momento il loro nome ma rimandano l’abbraccio nell’eterno. Il Rabbunì diceva: “non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”. Nasce l’attesa del domani: nella casa del Padre i baci non dati saranno dati e anche gli astemi berranno il vino buono. La colonna di fuoco si dilegua mentre il popolo attraversa il mare e approda alla terra promessa. Si aprirà l’orizzonte sui baci non dati nel tempo della crisi e della solitudine, nell’ora in cui l’innamorato attendeva con ansia il risveglio dell’amata e le mamme erano occupate altrove e scambiavano i baci ai loro bambini con i giocattoli nuovi. Quanti baci impediti dalla distrazione, dai sensi di colpa, dall’erba più verde del vicino, dalla paura di amare e dalle amicizie trascurate per via dei racconti sulle occasioni di peccato! Gesù conosce le cose intime del Padre e svela la sua amicizia, perché la tenerezza divina si espanda su tutte le creature. Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto, si giustifica Adamo. L’albero buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza è ancora impedito alle coppie restie a segnare la loro storia con la spiritualità cristiana. Dio è presente nel segno fragile dell’amore e narra se stesso nelle gioie e nelle fatiche del nostro amarci, dove l’umano e il divino danno vita a nuovi approdi. Quando Gesù spira sulla croce il velo del tempio si squarcia da cima a fondo e il popolo può accostarsi al Santo dei Santi avvolto nell’incenso, ma la tenerezza discinta dell’eros incontra pochi santi che sanno misurarsi con il vangelo. Dio vuole che l’uomo non inventi altri dei ma anche che il monaco non riservi il suo cuore solo a lui. Adamo ode nel giardino il rumore dei passi che si affrettano a rianimare la vita e si nasconde, ignaro che l’amore matura nel variare delle stagioni, temprato da calore e gelo e generosità e peccato. L’incontro tra maschio e femmina diventa luogo di rivelazione e l’amarsi nella carne spazio di santificazione. Forse a noi manca il coraggio di cercare la verità in tutte le cose e la gioia di godere le cose buone di Dio come primizia delle bellezze del regno dei cieli.

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