Parrocchia di Campolongo in Conegliano

 

 quando un povero bussa

 

a cura di don Carlo Salvador

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1  “Far bene la carità fa bene alla carità"      

 

II suono del campanello insistente e prolungato mette in allarme.

In molti anni di ministero i preti ne hanno sentite di tutti i colori.

I poveri, veri o presunti che siano, non mancano certo di fantasia.

Hanno bisogno con urgenza di un biglietto del treno, devono rinno-vare la licenza per venditori ambulanti, ti fanno parlare al telefono con una presunta mamma che deve essere sottoposta ad una grave operazione, dicono di avere una figlia disabile a cui devono spedire un vaglia entro la giornata, necessitano di una marca da bollo per presentarsi in questura la mattina presto, hanno bisogno di cambiare un assegno e la banca è chiusa fino a lunedì. Questo aspetto concre-to e minuto delle richieste di aiuto interpella più volte nel corso della giornata a vivere la carità. Essa non si esaurisce nell’elemosina ma intanto mette a prova la sensibilità verso chi è nel bisogno.

Si tratta di gente che il prete non conosce e che lo interpella il cristiano in modo diverso dal povero del paese che conosce e aiuta.

Quando la ricerca continua di denaro è situata in un contesto di anonimato mette a disagio, perché non si sa come rispondere: aiuti davvero un persona che è nel bisogno o butti il denaro a un profittatore che abusa della bontà della gente?

Il vangelo ci ricorda che i poveri li avremo sempre con noi.

Non è un invito a disinteressarsi di loro oggi, ma un richiamo a capire che non possiamo sanare del tutto le ferite del nostro prossimo.

Il disagio che proviamo, la paura di essere imbrogliati, la sensazione di situazioni insanabili e la povertà delle nostre risorse ci educano a non fermarci a una elemosina sbrigativa e anonima ma a fare bene la carità, rispondendo da buoni cristiani alle richieste di aiuto.

Sono condizioni che riguardano i preti e ogni operatore della carità.

Vedremo quale dovrebbe essere lo stile cristiano della carità e come la comunità cristiana può farsi tramite della carità di tutti.

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2  “Far bene la carità domanda stile "      

 

La carità dei cristiani si ispira a quella praticata da Gesù.

Egli rifiuta, come vera tentazione, l’invito a trasformare le pietre in pane, perché non vuole operare un miracolo a beneficio di se stesso e come manifestazione di potere, ma non esita a moltiplicare cinque pani e due pesci per una moltitudine: pone un segno a beneficio di  molti a partire dalle poche risorse che vengono messe nelle mani.

La carità chiede ai cristiani di non sottrarsi alla domanda che viene anche oggi dalle folle affamate e di mettere insieme il poco di cui ognuno dispone per aiutarle. Il fondo di solidarietà della parrocchia, ad esempio, può trasformare il nostro poco in aiuto provvidenziale. Gesù e gli apostoli avevano una cassa comune da cui Giuda  prendeva il denaro da dare ai poveri. Pare di capire che Gesù non si faceva carico di tutti i problemi ma manifestava la sua umanità accogliente e solidale verso i poveri che incontrava nel suo cammino. Ora nelle democrazie moderne i cittadini, mettendosi insieme, possono sostenere tante iniziative a favore della giustizia sociale, dell’accoglienza e della promozione degli ultimi, e manifestare così la compassione di chi sa di essere figlio del Padre unico di tutti.

Fa parte dello stile cristiano anche il tratto amorevole con cui fare la carità. Capita di rispondere  a una richiesta in modo veloce e di dire dei no fermi e sbrigativi. Occorre ascoltare una persona, magari anche le sue bugie, per dare dignità alla carità, perché essa è attenzione alla persona prima ancora che al suo bisogno materiale. Ci sono operatori nella carità che non parlano di persone ma di "casi".

La carità scaturisce dall'amore di Dio, entra nelle relazioni tra i credenti come effusione del suo amore e si trasforma in giustizia e condivisione a favore di tutti. L'amore fraterno dentro la comunità cristiana offre una testimonianza credibile dell'amore di Dio.

Occorre facilitare le buone relazioni e una profonda stima reciproca.

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3  “Far bene la carità creando solidarietà "      

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La carità del cristiano nasce dalla parola di Dio e dall'eucaristia e si manifesta in alcune abitudini che vanno coltivate e consolidate: l'aiuto reciproco, la correzione fraterna esercitata con mitezza e umiltà di cuore, la comunicazione reciproca delle esperienze di fede e di carità e qualche forma di comunione anche dei beni economici.

Queste buone abitudini favoriscono la collaborazione delle persone. Nel campo della carità capita di assistere a due derive opposte.

La prima è agire in una autonomia talmente marcata da diventare isolamento. Ci si fa carico personalmente dei problemi e si dimentica che promuovere una rete di relazioni permette di sostenere pesi maggiori e assicura esiti più efficaci. La seconda è essere talmente preoccupali di mettere in moto tutta una serie di collegamenti, interazioni e coinvolgimenti così da perdere di vista le persone che si vuol aiutare. Il legame con il potere, ad esempio, non fa bene alla carità, perché il potere pensa prima di tutto a conservare se stesso.

La comunità cristiana si deve impegnare insieme a sviluppare un ministero della carità che impegna tutti ed è attento alle persone.

Essa non può risolvere ogni problema che le viene sottoposto e ogni bisogno che bussa alla sua porta, ma può prendersi a cuore alcune situazioni precise e cercare la collaborazione di tutti per risolverle, mantenendo il contano diretto con i poveri che cercano aiuto.

In secondo luogo deve offrire l'esempio di una vita sobria, rifuggendo dallo spreco e dalla ricchezza, e non esitando a pagare di persona per sostenere alcune situazioni di disagio e di bisogno.

C’è un legame profondo tra carità cristiana e vita spirituale.

I santi operatori di carità sono stati anche grandi contemplativi.

Chi prega e contempla si espone ogni giorno alla luce della carità di Dio ed essa illumina e riscalda il cuore dell’orante e lo educa ad amare, iniziando dagli ultimi e dai bisognosi come fa Dio.

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4  “ Far bene la carità con la parrocchia "      

 

Gli Atti degli Apostoli documentano che nelle Chiese delle origini la carità era distintivo della comunità cristiana: era fatta come espan-sione della condivisione dell’eucaristia e sotto la guida degli apostoli.

Fu poi istituito un ministero della carità affidato ai diaconi, eletti dalla comunità e ordinati dagli apostoli. Le Chiese delle origini face-vano anche raccolte di elemosine per soccorre Chiese sorelle in difficoltà. Tutto ciò testimonia che la carità era sentita come un dovere delle singole persone e un impegno della comunità ecclesiale nel suo insieme, una nota che la qualificava davanti al mondo.                        

 “Tutti i credenti stavano insieme  e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le condividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno” (cf. 1,45; 4,32).

Ricordiamo come la nostra comunità esercita la carità, perché chi ha fiducia in essa abbia modo di fare bene la carità nella parrocchia.

Nel 2.000, anno del giubileo, abbiamo costituito, con il consenso del vescovo, il fondo di solidarietà, in cui confluiscono anche offerte raccolte in chiesa. A queste vanno aggiunte le varie raccolte stabilite dal vescovo. Così il 50% circa delle elemosine raccolte durante la Messa sono riservate per la carità nel nostro territorio e nel mondo.

Da diversi anni ospitiamo il contenitore di abiti usati che permette a tanti di “vestire chi ha bisogno”. E’ gestito dalla Caritas diocesana.

Veniamo in soccorso a poveri di passaggio, dopo aver verificato i  bisogni, attingendo informazioni anche ai banchi dati degli enti che si occupano di solidarietà nel territorio. Recentemente abbiamo inizia-to la raccolta di generi alimentari che riceviamo , una domenica al mese, e distribuiamo a famiglie e persone. Il parroco ha affidato questo compito al diacono e al consiglio del fondo disolidarietà.