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QUARESIMA E PASQUA 2004

ANNO C

A cura di Don Carlo Salvador  

Campolongo di Conegliano

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PASQUA  2004 (Gv 20,1-9)

Nella veglia pasquale abbiamo celebrato il mistero centrale della nostra fede: Gesù, signore e maestro, passato dalla morte alla vita. Segni del suo passaggio sono il cero acceso, l’acqua del battesimo e l’altare, dove la comunità mangia e beve di Gesù.

La liturgia del giorno propone l’annuncio della risurrezione dato da Pietro, la prima esperienza fatta dai discepoli riportata nel vangelo di Gv e una esortazione di Paolo.

I testi della preghiera e dei canti esprimono la grande gioia della comunità celebrante.

Il vangelo ci insegna ad arrivare alla fede profonda, dalla quale dipende la celebrazione. La fede nel Risorto si forma in modo progressivo e comunitario, con il contributo di tutti. Gv racconta l’esperienza di tre discepoli significativi, diversi l’uno dall’altro ma tutti amati da Gesù. Come si sono avvicinati al mistero? La Maddalena si reca al sepolcro al mattino presto. Era ancora buio nel loro cuore, perché mancava la luce sul Risorto: non avevano ancora compreso la scrittura che egli doveva risuscitare dai morti. Vede la pietra tombale rimossa e corre da Pietro e Giovanni per comunicare loro la notizia e la sua interpretazione: hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto. L’interpretazione risulterà sbagliata e depistante. Maria è leader del gruppo delle discepole, che si prendono cura di lui da donne decise nell’affrontare i momenti difficili.

Manifesta bella sensibilità ecclesiale: comunicare con gli altri discepoli, in particolare con Pietro, che Gesù aveva posto a capo dei discepoli, e Giovanni, che Gesù amava; erano un gruppo unito. Ella manifesta una preoccupazione umana: la mancanza del corpo, in cui una persona è in qualche modo raggiungibile dall’affetto. Manifesta anche la sua ignoranza e lontananza dalla fede: non sa dov’è il corpo, non sa che Gesù è risorto, cerca tra i morti il Vivente. Pietro e Giovanni corrono al sepolcro, condividendo la preoccupazione di Maria. Corrono insieme ma reagiscono in modo diverso. Giovanni arriva per primo e si china e scorge le bende afflosciate, come se il corpo fosse uscito senza scioglierle. Nessuna reazione palese, ma già un elemento di dubbio: come può essere portato via se le bende sono lì? Pietro entra per primo nel sepolcro, osserva le bende afflosciate e il sudario piegato a parte. Egli deve trovare la verità da comunicare con autorità. Ma è spaesato, non capisce e non interroga la Scrittura.

Giovanni entra e vede e crede. Come arriva a credere non è detto. L’intelligenza della fede non si fonda su prove evidenti e documentabili. Egli accede alla luce anche se la fede annidata in lui ha bisogno di maturare per poter essere comunicata. I due ritornano.

Maria rimane presso il sepolcro piangente, si china e vede due angeli seduti nel sepolcro e un uomo che non conosce vicino a lei. Ripete la sua convinzione per la 2.a e 3.a volta: hanno preso il Signore e non so dove l’hanno messo. Ma Gesù si rivela a lei, che era la più lontana dalla fede e la prima nella ricerca, e la manda a dare l’annuncio ai discepoli.

Gesù va incontro al discepolo che ha difficoltà a credere.

Il cammino della fede è correre nella ricerca e ricevere la risposta personale di Dio.

Oggi ci chiediamo: corriamo poco o tanto e siamo testimoni convincenti del Risorto?

Abbiamo vivo il senso/amore ecclesiale, in cui maturare insieme la fede e attingere la forza per essere testimoni? Paolo ci esorta a: pensare e cercare le cose di lassù, dove Cristo è assiso alla destra di Dio. Noi insistiamo a dire che Gesù è presente nella sua Chiesa, ma Paolo ripete che la sua abitazione è nel cielo e che la nostra vita di credenti è nascosta lassù con Gesù in Dio. E’ un capovolgimento di prospettiva. Invece di dire che Gesù dove siamo noi, diciamo che noi siamo dov’è Gesù. La pasqua diventa speranza e attesa che Cristo manifesti la sua gloria e la nostra in lui. Non viviamo nel possesso ma nella speranza. Celebriamo la Pasqua insieme alla Chiesa celeste. L’alleluia pasquale risuoni nella Chiesa e si unisca alla lode armoniosa e perenne dell’assemblea dei santi.

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PASQUA  2  C  2004 (Gv 20,19-31)

Il vangelo annuncia la pasqua, il dono dello Spirito e la domenica, giorno del Signore.

E’ racconto ma anche liturgia che Gesù ha celebrato con i suoi, e che celebra ora con noi.

E’ il primo giorno della settimana, giorno di lavoro e di fatica. E’ sera, ora delle tenebre e delle sorprese. I discepoli stanno in compagnia, chiusi dentro casa. Il pastore è stato percosso e loro sono un gregge disperso, lo sposo è stato tolto e loro digiunano.

Ma ecco un fatto nuovo che cambia quel giorno di lutto in giorno di festa: Gesù viene e sta in mezzo a loro, diritto, lui che era steso nel sepolcro, e dice loro: pace a voi.

1 E’ saluto che come celebrante rivolge all’assemblea liturgica e atto penitenziale che cancella la separazione della passione e crea una nuova comunione.

Il Dio della pace ha fatto risalire dai morti il pastore delle pecore, per dare pace (Eb 13,20).

2 E’ liturgia della parola. Gesù compie un rito simbolico, che attualizza la parola che egli aveva loro annunciato: mostra le mani che indicano che la persona è operosa e provvede. Che cosa ricordano le mani di Gesù? Alle mie pecore io do la vita eterna. Nessuno le rapirà dalla mia mano. Nessuno può rapirle dalle mani del Padre mio (10,27).

Il discepolo con Gesù è al sicuro, come un bimbo è sicuro in braccio a suo padre.

Mostra il costato. Il sangue e l’acqua che sgorgano dal costato trafitto significano sacrifico dell’alleanza e dono dello Spirito. Gesù rivela se stesso e il vangelo e suscita grande gioia.

3 E’ liturgia sacramentale. Soffia, dicendo loro: Ricevete lo Spirito Santo. Ricordiamo la creazione di Adamo.  Dio plasmò l’uomo, polvere della terra, e soffiò sul suo volto un soffio di vita e divenne l’uomo anima vivente (2,7). Ricevono lo Spirito e diventano i figli di Dio.

Gesù compie quanto aveva proclamato in una festa delle capanne: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me. Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno.

Con il suo soffio Gesù celebra oggi tre epiclesi liturgiche. Lo Spirito scende: in questi ragazzi che credono nel Risorto e li conferma figli di Dio; nel pane e nel vino che diventano corpo e sangue di Gesù; nell’assemblea che diventa un solo corpo/popolo.

4 E’ comunione con Gesù. Ora Gesù può affidare ai discepoli due cose preziose: estende ai suoi discepoli la missione che ha ricevuto dal Padre. Per il fatto che il Padre mi ha mandato, così anch’io mando voi. La missione di Gesù continua nei discepoli o muore, è l’unica missione. Stupendo: la missione non è un  dovere ma un dono e un onore; rende l’assemblea luogo del perdono. Gesù non parla dei modi della riconciliazione sacramentale, che saranno stabiliti molto dopo e in modi diversi nelle Chiese, ma stabilisce la natura dell’assemblea celebrante. Come Dio e Gesù la Chiesa è amore e perdono.

5 E’ vita. Gesù dona la fede nella risurrezione, richiesta dalla vita. Non si vive da cristiani senza una fede vera. Giovanni, evangelista dei segni, impersona questa fede in Tommaso  e lo fa figura della Chiesa. L’assemblea era arrivata alla gioia di riconoscere Gesù ma non ancora alla fede in lui. Luca scrive che Gesù ha invitato tutti a guardare e toccare, perché erano turbati e dubbiosi e perché, per la grande gioia, non credevano.

La gioia quindi non basta, è breve e non resiste alla prove.

I discepoli non arrivano da soli alla fede pasquale e Gesù dà loro la grazia di credere.

Tommaso professa la sua fede in Gesù, suo Dio e Signore.

E’ icona del vero credente che non si appoggia su evidenze, non si accontenta di emozioni ma si fonda sulla testimonianza che lo Spirito santo dà a Gesù nel cuore.

La fede pasquale è dono dello Spirito. Beati quelli che hanno creduto senza vedere: la madre, il discepolo che amava, i discepoli futuri.

Chiediamo questa fede. Allora celebreremo bene pasqua, cresima e eucaristia.

Viviamo dello Spirito e camminiamo secondo lo Spirito.

E ogni domenica sia per noi il giorno del Signore e della pasqua.

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PASQUA  3  C  2004 (Gv 25,1-14)

Il cap. 21 di Gv, come il 20, indica le modalità in cui è possibile incontrare il Vivente.

Gesù celebra la Pasqua con i suoi discepoli. L’apparizione è il venire del Risorto che è possibile solo nella celebrazione. Ritornano i punti nodali del celebrare.

La preparazione.  I discepoli fanno esperienza di fallimento nel pescare.

Il Risorto agisce in loro ed essi riconoscono di essere passati dal fallimento alla abbondanza, grazie a lui. La pesca, prima infruttuosa e poi abbondante, convince che senza Gesù non si può fare nulla e con lui tutto è possibile. Il fallimento si trasforma in riuscita per opera di Gesù e per l’obbedienza dei discepoli, che cercano dove egli indica.

Atto penitenziale è riconoscere le nostre opere sono infruttuose e chiedere che il Risorto ci raggiunga. E’ importante perché crea la disposizione giusta e necessaria.

Il libro. Nel vangelo è scritto quello che Gesù fece nella vita terrena. Il mondo intero, pensa Gv, non potrebbe contenere i libri che descrivessero tutto quello che Gesù fa. Esagerato? Come Risorto Egli appare e agisce in tutti i tempi, i luoghi e le persone.

Gesù nelle liturgie nella storia, come nelle apparizioni, agisce e richiama la parola che porta alla fede e trasforma i segni liturgici in eventi che santificano. Non solo i vangeli scritti ma ogni liturgia della parola e la stessa liturgia celeste. E’ storia infinita.

Il pane e il pesce. Gesù chiede ai discepoli: Non avete qualche companatico?

Quando tornano dalla pesca vedono braci e pesci giacenti e il pane. Il cibo è preparato da Dio; il pane è quello disceso dal cielo, che rivela l’amore di Dio che lo dona.

Viene Gesù come la sera di pasqua e l’ottavo giorno e ogni giorno del Signore (20,19).

Il banchetto è già preparato. Gesù mette insieme il pane disceso dal cielo e i pesci procurati dai discepoli. Essi li offrono prefigurando ogni offertorio

Gesù unisce divino e umano in un sacramento. Il cibo è abbrustolito al fuoco, segno di trasformazione: diventa saporoso, saldo, digeribile e buono. Gesù prende pane e vino e li dà loro. Egli stesso cuoce e serve, come pastore che ha cura del gregge, come aveva lavato i loro piedi. I discepoli sono toccati dalla grazia, percepiscono la sua presenza.

E’ eucaristia. Non sono interpretazioni arbitrarie. Dio assumendo la creazione e l’umano.

La comunione con Gesù e i fratelli.

La comunione al banchetto, all’amore e alla festa che esso simboleggia, è resa possibile dalla testimonianza del discepolo amato che lo riconosce sul lago.

Gesù che lo ama, suscita in lui la testimonianza ed egli la affida a Pietro perché la verifichi.

Quando Pietro la condivide, rivestendosi e gettandosi a nuoto verso Gesù, essa entra nel cuore di tutti e li porta a riconoscere Gesù. Il Signore continua ad essere in mezzo a noi e a servirci donandoci la sua parola e il suo pane. Le nostre comunità hanno un grande bisogno di discepoli amati, che testimoniano il Signore che viene.

L’unità della comunità si forma con la testimonianza di tutti, vagliata dal pastore.

La vita. I discepoli che vanno a pescare con Pietro sono sette, il numero della pienezza e rappresentano l’assemblea al completo. Essi tirano a riva la rete ed essa non si strappa nonostante la tensione cui è sottoposta dai 153 grossi pesci che si dimenano.

Essa è una come la tunica tirata a sorte sotto la croce; è segno della comunità indivisa che unifica le tensioni nell’amore e tira a salvezza le persone che raccoglie nella vita.

Gesù affida a Pietro il ministero di pastore nella sua Chiesa, un pastore che dà la sua vita per le pecore del Signore, e lascia nell’assemblea liturgica il discepolo amato, come testimone di cui essa ha bisogno finché il Risorto viene.

Ministero e contemplazione sono i due polmoni della Chiesa, ugualmente preziosi.

Oggi, coscienti della nostra debolezza e della potenza del Signore, illuminati dalla Parola e trasformati dal sacramento, viviamo la comunione con Dio e con i fratelli.

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PASQUA  4  C  2004 (Gv 10,27-30)

Un brano breve e molto bello; insegna come siamo introdotti nella vita interiore o divina.

L’ascolto, il sacramento e la sequela nella vita è cammino celebrativo, che viviamo nella Messa, ecclesiale, in cui diventiamo comunità, e interiore, perché ci rende intimi a Dio.

Sono poche frasi da leggere nella metafora pastore-gregge e nel contesto pasquale, del Risorto che mostra/dona le mani e il costato. I giudei pongono a Gesù la domanda che sarà decisiva nella passione: Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente! Gesù risponde apertamente ma non con un sì o un no, ma con una rivelazione: Voi non credete, perché non siete dalla pecore, quelle mie. I Giudei pensano che il Messia si inserisca in un quadro/mentalità preordinati. Gesù si inserisce nel quadro della rivelazione/alleanza del AT, ma per portarlo a compimento. Dio fonda un ovile nuovo attorno al Messia, una nuova relazione pastorale con Israele. Gesù dice: Le pecore, quelle mie, ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse seguono me. Queste parole condensano la relazione profonda che Dio vuole costruire con gli uomini. Essa si forma in tre modalità/passaggi:

Le pecore ascoltano la voce di Gesù.

Esse  infatti sono da Dio (8,47), che le ha poste/create per vivere in Gesù.

All’inizio c’è una scelta/vocazione di Dio. Ad esempio, Gesù va ospite di Maria.

Maria, essendosi seduta presso i piedi del Signore, ascoltava la sua parola.

Dall’ascolto Maria arriva alla fede, ma alla radice della fede sta una potente attrazione intima di Gesù che porta Gesù e Maria alla conoscenza e all’amicizia.

Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira (6,44).

Io, quando sarò elevato da terra, tutti attirerò a me (12,32).

Sono necessari l’ascolto, il raccoglimento e il silenzio, che oggi costano fatica, per essere  attirati all’amato. L’ascolto è primario nella vita umana e spirituale.

Solo esso porta al sacramento (celebrazione), a far comunità, all’alleanza interiore.

Gesù conosce le pecore, cioè le ama. Gesù le chiama per nome. Il nome evoca tutto l’amore che lega alla persona conosciuta. Gesù dice: Maria! Essa si sente amata com’è, si sente non abbandonata/lasciata ma custodita, nonostante i propri limiti. E’ l’esperienza che crea comunione/incontro. In ogni relazione di amore chi cerca scopre di essere cercato. Nell’adesione amorosa e fedele si viene trasformati e la propria vita riceve senso nuovo. Questo richiede di farsi dono nella gratuità e nella riconoscenza. Le persone che si amano si dicono grazie!. Possiamo dirlo della celebrazione, della comunità e della vita interiore.

La conseguenza è il tenersi per mano o stare nelle mani. Diciamo: sono nelle tue mani.

Le pecore seguono Gesù. Seguire significa fare propria la meta dell’amato in un progetto comune, affrontare la fatica dello stare al passo, essere attratti/affascinati dal mistero che ci è promesso e ci precede. Significa sentirsi custoditi.

Accade così anche nella relazione con Gesù e nella vita interiore.

Il discepolo è custodito da Gesù, perché nessuno può rapirlo  dalle mani di Gesù.

La mano è simbolo antropologico della capacità umana di ricevere e donare.

Le mani di Gesù ricevono dal Padre i discepoli, insieme ad ogni potere di salvare.

E’ custodito dal Padre, perché il Padre tiene nelle sue mani/custodisce Gesù.

Allora attingiamo alla stessa sorgente di vita, una sorgente inesauribile.

Mentre padre/madre terreni muoiono Dio rimane sempre, è sorgente di vita divina.

Siamo sicuri di questa rivelazione? Sì,  Prova  è la comunione  tra il Figlio e il Padre: Io e il Padre siamo uno nell’amore, cioè nella potenza dello Spirito santo. Siamo Trinità.

Gesù, nelle tre modalità in cui avviene il percorso dell’amore, ci rivela come possiamo partecipare alla vita divina, come entrare nell’amore trinitario, in cui sentirci felici e custoditi per sempre.