tempo ordinario 2 2023
riflessioni
quotidiane al Vangelo
a cura di
don Michele Maiolo
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Lunedì
5 giugno
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1Si
mise a parlare loro con parabole: "Un uomo piantò una
vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il
torchio e costruì una torre.
La
diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
2Al
momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da
loro la sua parte del raccolto della vigna.
3Ma
essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani
vuote.
4Mandò
loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono
sulla testa e lo insultarono.
5Ne
mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni
li bastonarono, altri li uccisero.
6Ne
aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo,
dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!".
7Ma
quei contadini dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su,
uccidiamolo e l'eredità sarà nostra!".
8Lo
presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
9Che
cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà
morire i contadini e darà la vigna ad altri.
10Non
avete letto questa Scrittura:
La
pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la
pietra d'angolo;
11questo è stato fatto dal Signore ed è
una meraviglia ai nostri occhi?".
12E cercavano di
catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito
infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo
lasciarono e se ne andarono.
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Si
parla di tradimento, di violenza, di delusione. Immagini a
tinte forti che contrastano con la tenerezza del Signore che
circonda di attenzioni la vigna e l'incuria e la cupidigia
di alcuni cui è stata affidata.
Non
si può non avvertire la frustrazione del padrone di fronte
al tradimento dei viticoltori: una vigna curata in tutto e
per tutto ha finito per produrre uva acerba. A volte si
pensa a un Dio freddo e distaccato, indifferente ad ogni
passione e sentimento; ma se lui è capace di amore è
capace anche di soffrire quando l'oggetto dell'amore è
infedele o maltrattato.
Come
i braccianti del Vangelo, da duemila anni si è chiamati a
lavorare nella vigna del Signore e da duemila anni emergono
qua e là tiepidezza ed egoismo. Il giudizio sui frutti non
maturati interpella tutti.
Di
fronte alla desertificazione dell'esperienza di fede occorre
chiedersi se sia stato fatto quanto era necessario. E'
terapeutico provare nel proprio cuore la delusione di Dio
che osserva la ras- segnazione dei pastori e dei discepoli
incapaci di rialzarsi per annunciare e testimoniare il
Vangelo, potenza di Dio per chi crede.
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Buon
inizio settimana
Don
Michele
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13
Gli mandarono però alcuni farisei ed erodiani per coglierlo
in fallo nel discorso. 14 E venuti, quelli gli dissero: «Maestro,
sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti
non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni
la via di Dio. È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo
dobbiamo dare o no?». 15 Ma egli, conoscendo la loro
ipocrisia, disse: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro
perché io lo veda». 16 Ed essi glielo portarono. Allora
disse loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?».
Gli risposero: «Di Cesare». 17 Gesù disse loro: «Rendete
a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio».
E rimasero ammirati di lui.
Quando
Dio cessa di essere un interlocutore personale e si riduce a
una istanza etica cui dobbiamo piegarci, entriamo in una
notte profonda, dove diventa difficile capire come coniugare
la fiducia in Dio con quella altrettanto necessaria, nei
confronti degli altri e della realtà. La domanda posta a
Gesù, manifesta il tentativo di sgravarsi la coscienza,
dalla fatica di discernere il quotidiano. La risposta di Gesù
che non guarda mai “in faccia” la nostra “ipocrisia”
è semplice e illuminante. Il frutto della Pentecoste è la
libertà di non aver altri padroni se non Dio il Padre. La
nostra vita può dirsi beata sia quando dobbiamo passare i
tempi della prova e della privazione, sia quando possiamo
restituire tutto il bene ricevuto.
Beato
l’uomo che teme il Signore e nei suoi precetti trova
grande gioia (Sal, 111)
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18
Vennero a lui dei sadducei, i quali dicono che non c'è
risurrezione, e lo interrogarono dicendo: 19 «Maestro, Mosè
ci ha lasciato scritto che se muore il fratello di uno e
lascia la moglie senza figli, il fratello ne prenda la
moglie per dare discendenti al fratello. 20 C'erano sette
fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare
discendenza; 21 allora la prese il secondo, ma morì senza
lasciare discendenza; e il terzo egualmente, 22 e nessuno
dei sette lasciò discendenza. Infine, dopo tutti, morì
anche la donna. 23 Nella risurrezione, quando risorgeranno,
a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno
avuta come moglie». 24 Rispose loro Gesù: «Non siete voi
forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture,
né la potenza di Dio? 25 Quando risusciteranno dai morti,
infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come
angeli nei cieli. 26 A riguardo poi dei morti che devono
risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito
del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? 27 Non è un Dio dei
morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore».
I
sadducei non credono alla resurrezione, per questo usano la
storia di una donna che sposa uno dopo l’altro 7 fratelli
rimanendo di volta in volta vedova e senza avere figli da
nessuno di loro. Di chi sarà questa donna? Di nessuno
risponde Gesù, perché la logica della resurrezione ci
libera anche da tutte le logiche di possesso con cui è
caratterizzata questa vita. La fede ci chiama a comprendere
che la vita che ci dona Cristo è una vita nuova, così
nuova che dobbiamo imparare a ragionare in maniera
completamente diversa. Dobbiamo farci nuovi anche nella
mente. Senza questo rinnovamento, la fede nella resurrezione
appare solo una sorte di ingenuità che affermiamo senza
convinzioni.
Non
è Dio dei morti, ma dei viventi
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28
Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi
discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò:
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29 Gesù
rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio
nostro è l'unico Signore; 30 amerai dunque il Signore Dio
tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con
tutta la tua forza. 31 E il secondo è questo: Amerai il
prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più
importante di questi». 32 Allora lo scriba gli disse: «Hai
detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e
non v'è altri all'infuori di lui; 33 amarlo con tutto il
cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il
prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i
sacrifici». 34 Gesù, vedendo che aveva risposto
saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
La
priorità che merita l’amore nei confronti di Dio è da
intendersi come una questione non formale, ma sostanziale
nel nostro rapporto con lui. Dio non ha certo bisogno di
essere riconosciuto per primo e come il fondamentale termine
di relazione della nostra vita. Siamo invece noi ad averne
bisogno, per non cadere nella tentazione di ridurre
l’amore per il prossimo a un semplice opportunismo, o
peggio ancora per chiedere all’altro di colmare quella
grande misura di attenzione necessaria a saziare i deserti
dell’anima. Condurre prima al Padre le persone e le cose
con cui scegliamo di entrare in comunione è il solo modo di
sperare, di poter amare il nostro prossimo, come noi stessi
vorremmo essere amati. Altrimenti il nostro desiderio di
relazione rischia di naufragare nel mare delle buone
intenzioni perdendo la gioia più grande che si possa
sperimentare in questo mondo: sfiorare le porte del regno.
Vedendo
che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non
sei lontano dal regno di Dio».
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35
Gesù continuava a parlare, insegnando nel tempio: «Come
mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? 36
Davide stesso infatti ha detto, mosso dallo Spirito
Santo:
Disse il Signore al mio Signore:
Siedi
alla mia destra,
finché io ponga i tuoi
nemici
come sgabello ai tuoi piedi.
37 Davide
stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo
figlio?». E la numerosa folla lo ascoltava volentieri.
Partendo
dal fatto che il Messia appartiene alla discendenza davidica,
il Signore Gesù vuole rivelare fino in fondo il mistero
della sua persona, quella della natura umana e quella della
natura divina. La rivelazione di Dio è il frutto di un
cammino e di una illuminazione che possiamo solo disporci a
ricevere. In questo senso è provvidenziale l’intreccio
del vangelo con l’avventura di Tobia, che dopo un lungo
viaggio torna a casa di suo padre con una sposa al suo
fianco e con le mani colme di regali inattesi. Ne da
conferma la parola dell’angelo di Dio che rassicura Tobia
sulla possibile guarigione del Padre. Il risanamento degli
occhi che Tobi vive ci ricorda che in fondo l’unica vera
trasformazione della nostra umanità, può essere non solo
opera di Dio ma soprattutto compiuta in Dio.
Io
so che i suoi occhi si apriranno…Così tuo padre riavrà
la vista e vedrà la luce.
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1Vedendo
le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si
avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e
insegnava loro dicendo: 3"Beati i poveri in spirito,
perché
di essi è il regno dei cieli. 4Beati quelli che sono nel
pianto,
perché
saranno consolati. 5Beati i miti,
perché
avranno in eredità la terra. 6Beati quelli che hanno fame e
sete della giustizia,
perché
saranno saziati. 7Beati i misericordiosi,
perché
troveranno misericordia. 8Beati i puri di cuore,
perché
vedranno Dio. 9Beati gli operatori di pace,
perché
saranno chiamati figli di Dio. 10Beati i perseguitati per la
giustizia,
perché
di essi è il regno dei cieli. 11Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni
sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed
esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di
voi.
Oggi
la liturgia ci propone il lungo discorso delle beatitudini.
Gesù non inizia gli insegnamenti con un comando ma con
l’annuncio di una felicità completa “Beati”, parola
che per ben nove volte risuona in questo brano. Gesù, che
non è venuto a condannare il mondo ma a portare il
comandamento dell’amore, sa che il problema di ogni uomo
è la “felicità”. Ma chi è beato, chi è felice? Colui
che, come Gesù, ha un rapporto con il Padre ed è in
comunione con Lui. La beatitudine dipende dalle nostre
scelte di vita, non dagli altri o dalle cose. La prima
beatitudine che ci ricorda Gesù è: “Beati i poveri in
spirito”. Son soprattutto gli umili coloro che riconoscono
e sentono il bisogno di appoggiarsi a Dio e di fidarsi di
Lui perché hanno scoperto che è l’unico sostegno.
Signore
Gesù aiutaci a vedere il vero volto di Dio e il vero
contenuto della felicità.
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13Voi
siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore,
con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che
ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete
la luce del mondo; non può restare nascosta una città che
sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per
metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce
a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la
vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre
opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei
cieli.
Essere
sale della terra e luce del mondo è quanto ci chiede il
Vangelo di oggi. È quanto è stato Sant’Antonio da Padova
che viene ricordato oggi. Come cristiani abbiamo il mandato
di dare sapore e senso alle cose che ci circondano, rendere
visibile la profondità delle nostre scelte di vita. Nel
buio dei valori e delle esperienze di vita che incontriamo
siamo chiamati ad essere luce con le nostre scelte, con i
nostri stili di vita con la testimonianza dell’amore che
Gesù ci ha donato con la Sua vita.
Signore
Gesù aiuta anche noi che siamo in cammino a dare sapore
alle esperienze della nostra vita e a illuminare la nostra
strada e quella delle persone che incontriamo
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